"Betty Fisher" di Claude Miller

Miller lavora direttamente su un spaesamento sentimentale che per l'appunto termina in un cerchio mancato affiorante come linguaggio nascosto delle cose, quadratura impossibile da realizzare perché mancante sin dall'origine.

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In quest'opera di Claude Miller (apparsa nelle nostre sale con ben due anni di ritardo), si avverte la prosecuzione di un cinema che da un lato possiede la consapevolezza del percorso fin qui tracciato, mentre dall'altro si abbandona ad un andirivieni di atmosfere, colori, racconti, sempre sussurrati in margine all'evento narrativo principale. Se infatti nella prima parte si avverte il respiro intermittente e casuale di un cinema da camera (i confronti tra madre e figlia, alla quale è appena moro il figlio, rimandano al set centralizzato e opprimente di Guardato a vista), nella seconda è come se Miller liberasse improvvisamente i corpi descritti fino a quel momento per sprigionare una macchina mobilissima che si perde nelle periferie, contaminando con un movimento nervoso ed elettrizzante traiettorie di vita fino a quel momento occluse. C'è insomma il miglior cinema del regista in questo costante spiazzamento di fisicità sull'orlo di una crisi depersonalizzante (la protagonista che cerca lo spettro di suo figlio morto nel "nuovo" bambino procuratole dalla madre), anche perché lo sguardo che agisce sulla scena non ha davvero nulla di consolatorio, per il portare sul proprio corpo i segni di una lacerazione dialettica sempre trasformata in simbolo di lotta, di violenza, di scontro. Miller lavora direttamente su un spaesamento sentimentale che per l'appunto termina in un cerchio mancato (il finale borghese è puro artificio ironico, di quelli che pullulano sia pur in forme diverse, nelle opere di Chabrol), affiorante come linguaggio nascosto delle cose, quadratura impossibile da realizzare perché mancante sin dall'origine (già l'inizio dell'opera, col ritorno della madre della protagonista, segna un'irruzione destinata a creare scompensi). Questo allora il senso di strappi improvvisi (il flashback iniziale con la protagonista ferita con delle forbici dalla madre, che pare un eco sussurrato de La piccola ladra), che configurano una sorta di metastasi galoppante che uccide un mondo (quello della sicurezza familiare) per sostituirlo con un giro di vite che culmina nello sbandamento più drastico. Nell'accensione di un punto di non ritorno.

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Titolo originale: Betty Fisher et autres histories
Regia. Claude Miller
Sceneggiatura: Claude Miller dal romanzo di Ruth Render
Fotografia: Christophe Pollock
Montaggio: Véronique Lange
Musiche: François Dompierre, Thom Yorke
Scenografia: Jean-Pierre Kohut-Svelko
Costumi: Jacqueline Bouchard
Interpreti: Sandrine Kiberlain (Betty Fisher), Nicole Garcia (Margot Fisher), Mathilde Seigner (Carol Novacki), Luck Mervil (Francois Diembele), Edouard Baer (Alex Basato), Stèphane Freiss (Edouard), Yves Jacques (Renè), Roschdy Zem (Dr.Jerome Castang), Consuelo De Haviland (Madame Barsky)
Produzione: Ugc Ym, Les Films De La Boissiere, Edouard Baer, Roschdy Zem
Distribuzione: Istituto Luce
Durata: 101'
Origine: Francia/Canada, 2001

 

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