Lo spettacolo perturbante, "Il cartaio", di Dario Argento

Alla fine si esce quasi esausti da Il cartaio, gli occhi trafitti da momenti di lancinante bellezza e il cuore spossato. Argento sta più avanti di noi. Lui spezza e distrugge, ripensa, come in un pubblico olocausto, il suo cinema. L¹assassino cercatelo altrove. Qui c'è solo il funerale di ciò che resta del cinema. Ma è un funerale che guarda avanti

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Il problema è che Dario Argento ci chiede di reinventare il nostro sguardo. Da scultore di forme antonioniane, Argento sembra aver intrapreso una straordinaria deriva di progressiva dealfabetizzazione del proprio cinema. Cioè calare in un voluto oblìo tutto ciò che sembra essere costitutivo del genere. Il cartaio, un po' Fellini, con i suoi sussulti assolutamente anarchici, il versante godardiano, ossia il lavoro con gli attori utilizzati come materia grezza da filmare suo malgrado, non può piacere. Il cinema argentiano sta diventando una faccenda intima, ma lo è sempre stato. Chiuso in se stesso, si apre al mondo dimenticando le forme del cinema e la sua sintassi. Argento è come se si stesse inventando un Rossellini tutto suo, un cinema post-mito. Basta osservare come il suo sguardo architettonico indugia su spazi e volumi (cercate lì il suo cinema), come riquadra in continuazione gli spazi e come Roma si rivela panica e misterica, incantata al suo sguardo bambino. Come il suono dolcissimo che riprova a imparare a parlare dopo aver dimenticato volutamente la scrittura, Il cartaio gioca a dimenticare se stesso, la propria sintassi. E in quanto tale è uno spettacolo perturbante e, perché no?, a tratti persino irritante. Ma se non altro è cinema vivo.
Certo tutto è fuori sintonia, disarmonico, come se l'unico modo per sfidare un mondo non più cinematografico fosse quello di spezzare il consenso della presente unità paratelevisiva dello sguardo e del mondo. Il cinema quindi come atto di discontinuità, per quanto radicato nel cuore di un cinema che orfano lo è stato da sempre (la famosa faccenda dei generi…). Alla fine si esce quasi esausti da Il cartaio, gli occhi trafitti da momenti di lancinante bellezza e il cuore spossato. Argento sta più avanti di noi. Lui spezza e distrugge, ripensa, come in un pubblico olocausto, il suo cinema. È questo lo spettacolo che ci offre Argento oggi. Un cinema che nel ricercare la sua purezza si riscopre corpo macchina disintenzionato. L¹assassino cercatelo altrove. Qui c'è solo il funerale di ciò che resta del cinema. Ma è un funerale che guarda avanti. D¹altronde non c'è altra scelta. E Argento lo sa.

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