"Underworld", di Len Wiseman
Le tenebre avviluppano spazi di anonimato quotidiano. L'underworld è dominio inestricabile di geni egoisti. La coscienza umana è spettatrice impotente e ignara dei tumulti "sotterranei". Ma il cinema non "azzanna" e rumina incompiute trasversalità di genere.
Vampiri e licantropi: due razze mai uscite dalla storia che da secoli e segretamente si combattono in nome della selezione sotto(naturale). Per i primi l'evoluzione è un processo lento e inesorabile e bisogna lottare per trasmettere ai propri discendenti geni incontaminati e puri. Per i lupi mannari le difformità e improvvise virate storiche dominano il proprio destino. Il sangue di un umano (Scott Speedman) è l'antidoto per non estinguersi. È braccato e all'oscuro del segreto che lo lega alle forze in campo. Selene (Kate Beckinsale) è la vampira più abile, è l'equilibrio punteggiato e non in graduale divenire. Se l'esistenza di queste specie fosse dovuta a un'anomalia genetica oppure a un tipo di sangue rarissimo, allora sarebbe possibile trovare il modo di eliminarle. Le tenebre avviluppano spazi di anonimato quotidiano. Al suo anonimato, paradossalmente, si accede solo fornendo una prova della propria identità: canini sporgenti, brutali e feroci trasformazioni di luna piena. L'underworld è dominio di geni egoisti o d'imprevedibili accelerazioni biotiche assai più complesse? La coscienza umana è spettatrice impotente ed ignara dei tumulti "sotterranei". Ma questo cinema non "azzanna" e rumina incompiute trasversalità di genere. L'humus gotico è trucco "prostetico" che si scopre debolmente connotativo appena ci si spinge oltre gli intenti puramente estetizzanti. L'ispirazione scientifica/sociologica/politica/, oltre a quella mitologica, aprirebbe nuovi soluzioni creative senza mai però dare l'impressione che la si cerchi fino in fondo. Scavare nei meandri della leggenda e trovare una spiegazione empirica ai fenomeni, è stimolante anche solo per la fantasia, ma il contesto sembra mancare di qualsiasi supporto d'inedita originalità e profondità narrativa. Combattere come "gangs" rivali da "action-movie" in un mondo deserto o parallelamente "estraniante", è retaggio culturale senza "ansia dell'influenza": il moto espressivo non avviene sotto le pressioni istiganti, deformanti, reattive delle opere passate o contemporanee. Il sequel d'obbligo (il finale non lascia dubbi) è la flebile speranza che asfittiche o appena abbozzate potenzialità di copione diano vita, per incanto, ad un "essere superiore" buono a succhiare e mordere all'unisono.
Titolo originale: Underworld
Regia: Len Wiseman
Sceneggiatura: Danny McBride
Fotografia: Tony Pierce-Roberts
Montaggio: Martin Hunter
Musiche: Paul Haslinger
Scenografia: Bruton Jones
Costumi: Wendy Patridge
Interpreti: Kate Beckinsale (Selene), Scott Speedman (Michael Corvin), Michael Sheen (Lucian), Shane Brolly (Kraven), Bill Nighly (Viktor), Erwin Leder (Singe), Sophia Myles (Erika)
Produzione: Lakeshore Entertainment
Distribuzione: Columbia Tristar Films Italia
Durata: 121'
Origine: USA/Germania/Ungheria/Inghilterra, 2003