"La rivincita di Natale", di Pupi Avati

Ecco dunque l'aritmetica dell'attuale Avati; percorrere un cinema che nella scrittura e nella pianificazione dei suoi personaggi trovi la perfetta cifra stilistica. Non c'è mai quindi un momento di vero respiro, e nemmeno l'impressione che quei personaggi possano realmente prendere vita proprio perché programmaticamente ordinati

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Valeva la pena di vederlo questo ultimo film di Avati. Certamente per diversi motivi, ma soprattutto per notare in quale modo il regista avrebbe messo in scena il seguito di Regalo di Natale, opera eccelsa, appartenente però ancora (e per poco) al primo periodo avatiano, quello per cui saremmo disposti a fare carte false pur di riconoscerlo al cinema, e non solo a casa su vhs stanche. La rivincita di Natale è stato un film esperimento, almeno così noi ce lo aspettavamo, proprio perché allacciato a un periodo cinematografico glorioso ma lontano, e allo stesso tempo immerso nelle paludi della nuova ("nuova" per modo di dire) estetica del regista bolognese. Di esperimento si è trattato, infatti, ma purtroppo non è sembrato  riuscito. Regalo di Natale era contaminato da una profonda aurea mortifera, un sentore ancora imbevuto di horror, nel senso più ampio del termine. Lì il cinema di Avati sembrava ancora vacillare nel tentativo di inscenare un mondo in bilico tra la vita e la morte inaspettata, e per questo così spettrale e ambiguo da risultare di un fascino penetrante. Il quintetto di attori allora risultava così seduttivo da bucare lo schermo (ricordiamo il Leone d'Oro a Carlo Delle Piane, ma anche Cavina, eccetera), proprio perché libero in un cinema ancora estenuantemente mostrato nel suo generarsi e poi disfarsi. Quel quintetto era ancora disinquinato dal calligrafismo che tanto soggiace oggi nelle opere di Avati, e da una scrittura che non cercava mai di soffocarlo, né di opprimere, ancor peggio, il film stesso. Gli stessi attori oggi, invece, sembrano appiccicati come figurine, troppo scritti per essere veri (pensiamo alla volgare ostentazione dell'omosessualità di Stefano) e troppo "spiegati", tanto da magnificare l'essenza di un film che non riesce ad evocare e deve dunque redimersi al perfezionamento di informazioni che nel prototipo erano solamente suggerite. Ecco dunque l'aritmetica dell'attuale Avati, percorrere un cinema che nella scrittura e nella pianificazione dei suoi personaggi trovi la perfetta cifra stilistica. Non c'è mai quindi un momento di vero respiro, e nemmeno l'impressione che quei personaggi possano realmente prendere vita proprio perché programmaticamente ordinati. Tra l'altro, anche la stessa Bologna è purtroppo piegata ad uno sguardo chiuso, tanto da restituircela come fosse una caricatura. Per questo parlavamo di esperimento, cos'altro può essere La rivincita di Natale se non la cartina al tornasole di un regista che continua a vedere con uno sguardo nostalgico senza però riuscire a trasmetterlo se non nei volti stagionati dei suoi interpreti? Scordatevelo dunque come sequel di Regalo di Natale, perché non è così se non nella sua sceneggiatura. Formalmente invero siamo da tutt'altra parte, vicini piuttosto al cinema di Avati che non ci piace più.

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Regia: Pupi Avati


Sceneggiatura: Pupi Avati


Fotografia: Paquale Rachini


Montaggio: Amedeo Salfa


Musica: Riz Ortolani


Scenografia: Simona Migliotti


Costumi: Stefania Consaga


Interpreti: Diego Abatantuono (Franco Mattioli), Alessandro Haber (Lele Bagnoli), Gianni Cavina (Ugo Cavara), Carlo Delle Piane (Antonio Santelia), George Eastman (Stefano Bertoni), Petra Khurz


Produzione: Medusa Film/Duea


Distribuzione: Medusa


Durata: 99'


Origine: Italia, 2003


 

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