"Palabras", di Corso Salani

Ci sono dettagli, in Palabras in cui è raccolto tutto il senso del film. Settimo lungometraggio di Corso Salani interamente girato in Cile, tra Santiago e le regioni del sud di quel paese, tra la città, inattesa nella sua rappresentazione vellutata e notturna, e il paesaggio aspro delle montagne, ma, soprattutto, come sempre, tra presente e passato

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PALABRAS

In una filmografia ricca di opere rivolte alla rappresentazione impalpabile di eventi vissuti, alla loro ricostruzione non tanto attraverso le parole e il racconto, ma con la densità evocativa dello sguardo (si pensi a Gli occhi stanti o a Cono Sur), sorprende, in un primo tempo, il fluire delle parole, il gioco ripetitivo di ciò che si vede e ciò che si dice, livelli paralleli di una stessa realtà da scoprire che, però, si reinventa ad ogni istante. Proprio qui è nascosto il segreto che svela il film, nella ricerca di un percorso che sta a metà tra i due percorsi e che attinge sensazioni dall'uno e dall'altro, nella sovrimpressione del tempo/dei tempi che pare riportarci sempre allo stesso punto. La forma rotonda di Palabras ricorda il doppio giro attorno ad un piazza di Roma con cui iniziava Gli Occhi stanchi, era, anche quella, una falsa ripetizione perché in quel gesto stava lo stratagemma per iniziare la deviazione, il detour che mandava in cortocircuito la narrazione del film nel film e rendeva possibile l'ambiguità. Lo schema (in realtà tutt'altro che meccanico) lo ritroviamo, moltiplicato anche qui, scivola nel discorsi delle tre amiche e innesca l'attesa del "dopo", realizza, soprattutto, la sorpresa di immagini che sembrano rallentate, anzi, trattenute, come a voler tenere il tempo che, invece, si spinge in avanti. A questo serve soprattutto il lavoro accurato del suono dove si mescolano i dialoghi, i pensieri detti ad alta voce, le canzoni che ritornano per ribadire appunto l'idea della rotondità. Tutti dettagli su cui si costruisce un film che sa essere lieve e denso allo stesso tempo, aperto e libero eppure avvolto dolcemente su alcune scene, quelle in cui emerge la forza dello sguardo/cinema di Salani, attimi che concentrano una ricerca progressiva e sempre rivoluzionaria, capace di chiudersi attorno ad una scena di ballo, ad uno sguardo dove non servono più parole per dire.

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    "Palabras", di Corso Salani

    Il mèlo atopico di Salani si gioca interamente sulla spersonalizzazione di un soggetto destituito di ogni parvenza realistica e quindi capace di riprodurre una realtà che non può far altro che disperdersi nella sgranata lividità della luce.

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    Palabras Corso Salani

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    Nel cinema invisibile di Corso Salani accade sempre qualcosa di suggestivo e sfuggente, di magico e sconcertante. L'alone di una presenza pulsante che squarcia intimità forse, ma anche il riavvolgersi pudico e intenso di microcosmi affacciatisi improvvisamente sul nulla. Palabras segna le vie contorte e defilate di uno sguardo aperto sul nomadismo inquieto di un occhio che fa fatica ad abituarsi alla vista delle cose, alla logora quotidianità di gesti superflui e meccanici. Attingendo al bacino immaginifico di un'esperienza ancora una volta deterritorializzata, Salani continua a raccontarci di una realtà extrasensoriale, navigando sull'iride scoscesa di set casuali, affidati alla stravagante abitudinarietà di movimenti circolari, gestiti come in assenza di vero moto. Lo sguardo perduto della protagonista dell'opera brancola infatti nella periferia di un presente come sottratto, vivificato da intermittenze astratte e dolorose di una memoria incisa sulla carne del detour (le sue conversazioni con le amiche che la portano a rivivere i momenti della sua vicenda d'amore) e palesata quale atto di resistenza gratuito e straziante in perenne bilico tra realtà e immaginazione di quest'ultima. L'intermezzo siderale che scuote le viscere del tempo conservandosi nell'appannamento del ricordo è allora frutto della semplice constatazione di aeree passionali costeggiate e perimetrate, come scandite da lunghi rintocchi di un orologio eternamente sfalsato che ritarda e depista le regioni più apertamente mèlo (l'amore appunto tra la protagonista cilena e un ingegnere italiano), virandole poi in tripudi fisici assoluti (la sequenza in cui fanno l'amore). Il corpo del cinema di Salani è allora un organismo scarnificato, un ammasso di membra svuotate da una loro aperta funzionalità perché destinate a consumarsi nello scacco di una relazionalità mancata sin da subito. Il set diventa allora lo specchio di un'utopia geografica che spazza via ogni facile riconoscibilità, sedimentandosi progressivamente su superfici dove brucia la fiamma di una distanza che marchia le emozioni (l'opposizione geografica dei poli del melò si riallaccia a quella di Malvina e Alberto in Occidente) procedendo alla lacerazione di vissuti tracciati come sospensioni raggelanti di vita. In questo senso il mèlo atopico di Salani si gioca interamente sulla spersonalizzazione di un soggetto destituito di ogni parvenza realistica e quindi capace di riprodurre una realtà che non può far altro che disperdersi nella sgranata lividità della luce (il colore mosso della seconda parte dell'opera), a contatto con le immobilità statuarie di eventi già vissuti. Se Bertolucci e Bellocchio ri/filmano l'evento narrativo (sotto forma di ibrido personale/collettivo) sostituendolo col sogno di quest'ultimo, Salani continua a inseguire latitudini sentimentali che erompono con forza da ogni costrizione drammaturgica, scolpendo e rimodellando l'immaginazione prodotta da un corpo improvvisamente solo (l'ultima sequenza di Palabras con la protagonista in macchina), schiacciato dal peso di un rimosso che è allora il fuoricampo flagrante e tragico di un sogno mancato da occhi stanchi.

     

    Regia: Corso Salani

    Sceneggiatura: Monica Rametta, Corso Salani

    Fotografia: Riccrado Gambaccianbi

    Montaggio: Sebastiano Bazzini

    Musica: Francesca Ancarola

    Scenografia: Valentina Scalia

    Costumi: Valentina Scalia

    Musica: Francesca Ancarola

    Interpreti: Paloma Calle (Adela), Corso Salani (Alberto), Maria Jesus Casanova (Natalia), Susana Telo (Susana), Monica Rametta (Flavia), Alessandro Mizzi (Mario)

    Produzione: Gianluca Arcopinto e Balaton Film

    Distribuzione: Pablo

    Durata: 92'

    Origine: Italia, 2004

     

     

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