"La passione di Cristo", di Mel Gibson

Il Cristo di Gibson si ostina a vivere nelle crepe dorate del ricordo, nei farfugliamenti teneri e moribondi di una stagione perduta, negli ammantati cieli di un passato che torna, ora angelico rifugio di pace, ora girone infernale di audaci segni di morte.

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Le mani callose e stanche di un uomo indugiano pazientemente su una tavola di legno. Tagli, intarsi, trucioli instancabili di una manualità ferma e decisa, approdo senza tempo di occhi desideranti vita e speranza. Maria non smette di fissare il suo uomo, Gesù, quel raggio di luce che invoca amore, offrendo una maternità dolce e impossibile. Sulle palpebre roventi di Maia Morgenstern vola il tenero corpo di un bambino che cade rialzandosi adulto, costretto e pressato da una croce intagliata sulle lapidi aguzze e taglienti di vite sbagliate. Si compie il giorno fatale, la sporgenza mai rientrata, il malinconico sbatter d'ali di un sole virato in tempesta. E' il giorno delle pietre che parlano, del vento che starnazza, di foglie che cantano il triste presagio di una morte annunciata, sibilando, oscure e disfatte, il ritornello della terra che torna a se stessa. Il Cristo di Gibson si ostina a vivere nelle crepe dorate del ricordo, nei farfugliamenti teneri e moribondi di una stagione perduta, negli ammantati cieli di un passato che torna, ora angelico rifugio di pace, ora girone infernale di audaci segni di morte. Le lacrime di sangue che solcano il suo corpo inerte disegnano il tempo infinito dell'infinito dolore; sono fiumi di parole mai dette, di promesse balbettate al chiarore di luna, di amori dati e restituiti come spoglie cadenti di sé. La polvere che bagna i calzari inzuppati di sudore e di terra evoca la danza dei giorni, l'avvicinamento della peccatrice Maddalena già graffiata in volto dalle prime pietre scagliate, la roteante marcia di uomini pronti ad insediarsi nelle abitazioni altrui. Nelle dimore mai quiete della memoria, Gibson tesse una spinosa trama di luoghi infantili e disadorni di ogni malizia adulta: sono le fragranze dolci e speziate della casa natale, gli innocenti giochi alla casa del padre, le armoniose curve di un sentiero conosciuto a memoria e a memoria imparato. La topografia sentimentale di luoghi cari e terribili costella a mò di corona di spine il capo di Caviezel, lo martoria con fitti aculei che trafiggono la carne, macerandola e brandendola come scalpo che si ghermisce, calco terreno dell'umbratile traccia divina. Le soglie dell'invisibile reclamano ad alta voce il loro frutto diletto, ma Gibson trattiene la materia della sua creatura d'amore sul palcoscenico ostinato e turbolento della ribalta, lo accudisce ferendolo con squarci di dolcezza improvvisi e inaspettati, lo rende manifesto nella pienezza trasparente di membra segnate da fruste voraci, per poi riaffidarlo alle cure sognanti di una madre che scappa con lui, strappandolo al ghigno feroce della folla, lambendo la sua eternità con la forza soprannaturale della misericordia. La passione del Cristo di Gibson levita nello scampolo autunnale e selvaggio di un occhio che piange la vita abbandonata, inumidendo, tremante e solo, il ricordo di certe sere lontane.

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Titolo originale: The Passion of the Christ


Regia: Mel Gibson


Sceneggiatura: Benedict Fitzgerald, Mel Gibson


Fotografia: Caleb Deschanel


Montaggio: John Wright


Musiche: John Debney


Scenografia: Francesco Frigeri


Costumi: Maurizio Millenotti


Interpreti: Jim Caviezel (Gesù), Maia Morgenstern (Maria), Hriston Jivkov (Giovanni), Francesco De Vito (Pietro), Monica Bellucci (Maddalena), Mattia Sbragia (Caifa), Toni Bertorelli (Anna), Luca Lionello (Giuda), Hristo Naumov Shopov (Ponzio Pilato), Claudia Gerini (Claudia Procula), Sergio Rubini (Disma)


Produzione: Icon Productions


Distribuzione: Eagle Pictures


Durata: 126'


Origine: USA, 2003


 

 

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