Achille, supereroe ribelle senza causa: "Troy", di Wolfgang Petersen

Il grande contenitore omerico visto secondo i dettami del moderno cinema spettacolare hollywoodiano, più vicino al "Signore degli anelli" e "Matrix" che non ai peplum di un tempo. Ma è Achille il vero personaggio del film, moderno e antico allo stesso tempo, un po' Rambo, un po' Superman, ma con le complessità dei supereroi più moderni, come Spiderman

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Guerra, guerra e guerra. Sembra esserci sempre più forte, come una necessità di rappresentare la violenza in termini epici e "assoluti" nell'ultimo cinema hollywoodiano. Come se fosse un modo per esorcizzare un qualcosa – la guerra appunto – che ormai sembra essere diventata, dopo l'11 settembre 2001, un elemento costante della vita della ultra bicentenaria democrazia americana.  Se ci pensiamo un secondo tutti gli ultimi grandi kolossal americani, i film di maggior successo degli ultimi anni, sono, di fatto, film di guerra. Che poi questa guerra sia ambientata nel passato (Il gladiatore), nei mondi fantastici tolkienani (la trilogia del Signore degli anelli) o in quelli futuristici di Matrix, poco importa: è sempre la guerra l'asse centrale che smuove le storie, che fa esplodere le relazioni umane, che mette alla prova i sentimenti e le passioni. Insomma è come se, dato per scontato che ormai l'America si è presa questa pericolosa "malattia" (che in realtà dalla fine della Seconda Guerra mondiale non l'ha mai del tutto abbandonata), l'industria dello spettacolo hollywoodiana ha deciso di imparare a conviverci, fornendo gli strumenti dell'immaginario cinematografico.

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E, da questo punto di vista, non c'è nessuna storia più ricca, semplice e complessa dell'Iliade di Omero, per raccontare l'epicità della guerra e il coacervo di passioni, morti e dolori che comporta. C'è già tutto pronto, un vero e proprio campionario di tipologie umane, basta solo andare a prendersele e rimirarle con sguardo moderno: abbiamo due popoli che potrebbero convivere in pace che, per brama di potere e sfruttando il "casus belli" del rapimento della bella Elena, si ritrovano in guerra (che romantica una guerra per una donna, vero?…), il crudele e ambizioso Menelao, re dei greci, e invece il saggio e onesto Priamo, re dei troiani. E poi il romantico e affascinante giovane Paride, il suo valoroso fratello Ettore, il "geniale" stratega e abile politico Ulisse, abbiamo la vergine Briseide, e, soprattutto, abbiamo il grande guerriero Achille.


 


La bellezza della storia della guerra tra greci e troiani sta nel fatto che, per uno sceneggiatore, è un puro luogo libero da saccheggiare. La storia è nota, ma chi può dire realmente com'è andata? Nessuno, dato che il poema omerico arriva 400 anni dopo i fatti, frutto di racconti orali, ovviamente arricchiti da mitologie di ogni genere.


E allora spazio a tutte le libertà possibili, il sogno di ogni sceneggiatore (qui il bravissimo David Benioff, autore del romanzo e dello script di La 25° ora, di Spike Lee). E allora, cinematograficamente, tutto è più grande e più concentrato. Lasciamo perdere i dieci anni di guerre che intercorsero tra i due popoli, e concentriamoci invece su quella manciata di giorni che più modernamente ci vogliono (e George W. Bush ce lo ha insegnato) per fare una guerra. E il film si prende le sue libertà con grande passione, ed eccolo Achille trasformato in un moderno Rambo, soldato straordinario e imbattibile, ma anche "ribelle senza causa", in perenne conflitto con il potere del dispotico Agamennone. E il suo stile di combattimento, messo subito in mostra nella prima scena di guerra, con quel salto ad aggirare l'avversario con una tecnica più vicina alle arti marziali orientali che al combattimento classico. Achille viene rappresentato qui non come un guerriero classico, valoroso e a tutto tondo (quello è invece perfettamente incarnato da Ettore, che non ama la guerra e vorrebbe vivere in pace con la sua famiglia), ma come una sorta di supereroe (altro tema ricorrente del recente cinema americano.. supereroi e guerra, c'è di che riflettere!) da un lato, e di un emarginato dall'altro, un diverso, una persona non integrabile al sistema (seppure funzionale). In tutto ciò emerge con forza il personaggio di Ulisse, vero "politico" della situazione,  l'unico in grado di parlare con tutti, e di inventarsi soluzioni alternative nei momenti difficili (anche se l'idea del cavallo di Troia e la sua realizzazione sono rappresentate in maniera molto affrettata  ed ingenua nel film).


Eppure, quando vediamo Orlando Bloom imbracciare l'arco, non possiamo non pensare al Legolas de Il signore degli anelli, l'elfo guerriero e grandissimo arciere (d'altronde anche Sean Bean, che interpreta Ulisse, era Boromir nella trilogia di Peter Jackson) e sempre più viene da immaginare che alla fine, per questi straordinari film spettacolari hollywoodiani, si tratti in realtà di un "unico grande film", di cui di volta in volta, da spettatori, ne vediamo un pezzo, una versione, un frammento.


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Troy approfitta del rilancio del genere storico, in gran voga negli anni Cinquanta e Sessanta, operato dal grande successo de Il gladiatore, ed utilizza con spietata lucidità ed apparente semplicità le straordinarie risorse offerte dalla nuove tecnologie digitali, che permettono ai kolossal di materializzare scene di massa non dovendo necessariamente più ricorrere a decine di migliaia di comparse.


Dicevamo della compressione temporale e della grandeur visiva. Sono gli stessi realizzatori a confessare che "in realtà Troia era più piccola di quella che abbiamo progettato noi", come racconta lo scenografo Nigel Phelps, "c'era una cinta di mura esternamente e un palazzo all'interno, con case a un piano e tetti di fango. Quindi noi abbiamo deciso di ingrandirla per renderla più interessante visivamente".  Insomma: il tempo si restringe, gli spazi si allargano. Sono le nuove dimensioni dell'immaginario cinematografico a governare, oggi, le storie. E la realtà, seppur lontana e storico/mitologica, è troppo piccola, troppo lenta e lunga per interessare lo spettatore. E quindi le due ore e quarantacinque minuti del film di Wolfgang Petersen scorrono via veloci, forse persino troppo, soprattutto nel raccontare quella lunga fase di stallo seguita alla morte di Ettore per mano di Achille, quando i greci proprio non riuscivano a penetrare delle alte e spese mura troiane.


Eppure alla fine di questo epico e avvincente film, c'è qualcosa che non torna. I punti di forza in partenza erano la storia d'amore romantica e passionale di Paride ed Elena, e la violenza delle battaglie tra i due eserciti. Ma si avverte come se queste due componenti, che pure ci sono, non siano poi più il vero cuore pulsante del film. Che invece batte tutto sul versante Achille, su un personaggio che diventa sfaccettato, e che incredibilmente si offre persino all'unica vera storia d'amore coinvolgente del film, quella con Briseide, prima prigioniera e poi amante del guerriero. Nel personaggio di Achille sembra racchiudersi un mondo intero: dalla disillusione e l'odio verso i potenti, dalla considerazione fatale di essere nato per combattere, dall'individualismo esasperato che lo porta ogni volta a combattere da solo con i suoi 50 guerrieri, dalla sua amicizia leale con Ulisse, dalla pietas e dal rispetto verso Priamo, che viene a reclamare il corpo del figlio ("tu sei migliore del re che ci comanda", gli dice),  fino a quel finale dove, entrato con Ulisse nel cavallo dentro la città, se ne infischia di combattere e uccidere i troiani ma si impegnerà esclusivamente al ritrovamento dell'amata Briseide (una Rose Byrne che è la vera bellezza del film, altro che Elena!). Insomma è Achille il personaggio vero di questo film, moderno e antico allo stesso tempo, un po' Rambo, un po' Superman, ma con le complessità dei supereroi più moderni, come Spiderman. Per il resto, rimangono quelle carrellate sui corpi dei morti nelle battaglie, sugli accampamenti dei soldati, quel primo piano sugli occhi in lacrime di Priamo davanti alla sua città in fiamme, la fierezza con cui Ettore affronta consapevolmente il duello mortale con Achille. Piccoli particolari che fanno un film.


 

Troy


Regia:  Wolfgang Petersen


Sceneggiatura:  David Benioff


Produzione: Wolfgang Petersen, Diana Rathbun, Colin Wilson


Interpreti:  Brad Pitt (Achille), Orlando Bloom (Paride), Eric Bana (Ettore), Brian Cox (Agamennone), Brendan Gleeson (Menelao), Sean Bean (Ulisse), Peter O' Toole (Priamo), Rosy Byrne (Briseide), Safron Burrows (Andromaca), Julie Christie (Teti)


 


 


 

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