TORINO 21 – WILLIAM FRIEDKIN: "Al centro del mio cinema c'è il mistero del destino e della fede"

Nell'ambito della manifestazione torinese, William Friedkin si è intrattenuto sia con i giornalisti che con il pubblico, svelando i retroscena del suo rapporto col cinema e con la vita. Per i nostri lettori presentiamo qui la trascrizione integrale degli incontri, entrambi moderati dalla codirettrice del festival, Giulia D'Agnolo Vallan.

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TORINO, 15 novembre 2003

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Conferenza stampa



GIULIA D'AGNOLO VALLAN: La prima domanda riguarda alcuni dei film di Friedkin che in Italia non si sono mai visti, i suoi primi documentari: lavorando su questa retrospettiva ho capito quanto il documentario sia importante in quanto radice di tutto il tuo lavoro. Vorrei che parlassi di questo.


WILLIAM FRIEDKIN: Innanzitutto io ho cominciato a lavorare a Chicago nella "live television", che era una cosa completamente diversa dal cinema, e quando ho iniziato a fare questo lavoro non avevo alcuna intenzione di realizzare dei film, proprio perché la televisione mi piaceva tantissimo, era qualcosa di nuovo a quel tempo. Molti di voi sono troppo giovani per ricordare lo stupore, la magia che creava l'immagine televisiva nei primi apparecchi che ognuno di noi aveva in casa, eravamo come i primi uomini che avevano visto la Coca Cola in Nuova Guinea. Poi è stata una vera casualità, ho appreso la storia di questo ragazzo nero di Chicago che era stato picchiato dalla polizia [Paul Crump, protagonista del documentario di Friedkin, The People vs Paul Crump del 1962 n..d.r.] e che rischiava di essere condannato a morte sulla sedia elettrica per omicidio. Questa notizia mi ha attirato, non avevo la minima idea di come riuscire a realizzare un film, so che d'impulso ho avuto questo desiderio di incontrarlo e di raccontare la sua storia attraverso il cinema, per cercare di salvargli la vita. Così abbiamo realizzato quel documentario che è servito allo scopo e a quel punto ho pensato che il cinema fosse un mezzo meraviglioso e potente, che consentiva di salvare delle vite. Poi sono andato a Hollywood e mi sono reso conto di essere completamente in errore e che nemmeno le Charlie's Angels potevano salvare la vita della gente…


Voglio esprimere il mio piacere di essere qui a Torino, una città davvero molto bella, con profonde radici storiche, che nel corso degli anni ha profondamente influenzato la mia coscienza. Ma, per tornare alla tua domanda, uno dei primi film che vidi quando ero molto giovane fu uno di quelli che è presentato a questo festival, La furia umana. Questo film mi ha molto colpito per come combina vari generi: è documentario, noir, prison movie e anche una vera, grande crime story. Così quando lo vidi realizzai che questi elementi possono coesistere in un solo film: fiction e documentario possono "servirsi" a vicenda. E questo è lo stile che poi in modo naturale ho adottato in molti dei film che ho fatto: il mio tipo di approccio è indotto dal documentario, nel senso che ogni tipo di storia la affronto come se stessi facendo un documentario.


Il signore che diresse La furia umana si chiamava Raoul Walsh, era davvero un grande regista cinematografico. Ho ammirato davvero tanto tutti i suoi film: ha vissuto fino all'età di 93 anni, ma odiava il modo di fare cinema della mia generazione, ci considerava tutti infantili e sperava che un giorno saremmo diventati più sofisticati. Purtroppo si sbagliava. Negli anni Ottanta parlava di quanto stupidi fossero i film realizzati negli anni settanta, ma nonostante questo io considero ancora i suoi film meravigliosi per il fatto che comprendono così tanti elementi diversi. Spesso lui è considerato un grande regista di film d'azione in America, ma in realtà è stato anche molto bravo a dirigere le donne, quasi con la sensibilità di una regista, e ha portato molte delle sue attrici a vincere degli Oscar, per esempio Gloria Swanson. Comunque ammiro questa versatilità che lui aveva nel modo di fare cinema e che oggi non c'è più.


PUBBLICO: Non so se lei lo sa, ma stanno attualmente rigirando parte del prequel de L'esorcista a Cinecittà, con un nuovo regista. Vorrei sapere cosa ne pensa.


WF: Non so niente di nessuno dei sequel de L'esorcista, non ne ho visto neanche uno. Per me è come se qualcuno mi dicesse che qua fuori c'è stato un incidente con cinquanta persone morte per strada: io non vorrei andare a vedere, so cosa mi troverei davanti e lo stesso penso dei sequel de L'esorcista.


GDV: Sì, Friedkin non ha mai voluto interessarsi alle cose fatte prima o dopo L'esorcista e così non si è occupato nemmeno di quest'ultimo film, che doveva essere diretto da Paul Schrader, poi allontanato letteralmente dalla sala di montaggio, e sostituito da un altro regista [Renny Harlin n.d.r.] per le scene rigirate a Cinecittà.


WF: No, non capisco proprio come qualcuno possa fare questi film, non ne ho idea, non hanno senso: il film originario de L'esorcista aveva già detto tutto quello che serviva su quella storia. La gente dovrebbe andare avanti, come disse il presidente Clinton quando fu scoperto col sigaro in una donna… Disse "andiamo avanti, è ora di andare avanti"… Ma devo dire, con il dovuto rispetto per il presidente Clinton, che quello era il miglior sigaro cubano: nessun presidente americano si farebbe sorprendere nell'atto di inserire un sigaro da quattro soldi in una donna. Non sono però sicuro del presidente italiano. Ora ci sono altre domande di natura più seria?…


P: A proposito di The People vs Paul Crump, il documentario sulla pena di morte che ha stato realizzato tanti anni fa, secondo lei come è cambiata da allora la società americana rispetto all'argomento?


WF: La sua domanda è molto interessante. Oggi i sondaggi d'opinione indicano che il 70% degli americani è ancora a favore della pena capitale, quello che è cambiato è che le condanne a morte non sono più così frequenti come lo erano quando io ero ragazzo. Fa eccezione il Texas, dove le esecuzioni capitali avvengono ancora con regolarità. C'è da dire che, per esempio, a Chicago, nello stato dell'Illinois, dove sono cresciuto e ho realizzato il documentario, l'ultimo governatore ha concesso la grazia a 145 detenuti nel braccio della morte e questo è stato grazie all'introduzione dell'esame del DNA che ha dimostrato, tra l'altro, che molti condannati a morte erano stati giustiziati pur essendo in effetti innocenti.


GDV: Specifico una cosa che Friedkin non ha detto: in Illinois hanno fatto addirittura una moratoria visto che si sono resi conto che c'era una possibilità di errore, quindi adesso le esecuzioni sono sospese.


WF: L'esame del DNA ha influito profondamente sull'atteggiamento di chi condanna a morte, malgrado il fatto che, per l'appunto, secondo i sondaggi di opinione molta gente sia ancora a favore della pena capitale e creda ancora nella sua efficacia. C'è un uomo, Mario Cuomo, che è stato governatore dello stato di New York per 12 anni: ogni quattro anni si ricandidava e puntualmente venivano fuori questi sondaggi che rivelavano che il 70% dei cittadini era a favore della pena di morte. Ma lui continuava ad essere rieletto anche se precisava sempre che non avrebbe mai autorizzato alcuna esecuzione, in quanto cattolico e scettico rispetto all'efficacia della pena capitale, e specificava "se volete qualcuno a favore delle esecuzioni non eleggete me". Quindi le leggi dello stato di New York consentono ancora l'uso della pena capitale, che però non viene più applicata.


P: La mia domanda verte ancora sull'argomento della morte, anche se riguarda un suo fatto personale e precisamente l'infarto che la colpì mentre era alla guida della sua auto. In che modo questo ha influito sulla sua idea della morte?


WF: Si, un giorno stavo andando a lavorare al mio ufficio alla Warner Brothers, avevo più o meno trent'anni, e mentre guidavo improvvisamente ho avvertito questo forte dolore al petto e non avevo idea di cosa potesse essere, credetti di avere un crampo muscolare perché all'epoca facevo molto sport, giocavo a tennis e a basket. Invece era un infarto molto grave. A un certo momento mi portarono dai paramedici che cercarono di rianimarmi somministrandomi l'ossigeno, facendomi il massaggio cardiaco: ricordo distintamente di aver sentito uno dei paramedici dire "non reagisce". In quel momento, che io credevo fosse l'ultimo, ricordo di avere avuto questo pensiero: "non ho concluso niente nella mia vita, non ho compiuto niente di importante, non ho restituito nulla alla società" e mi sono sentito insignificante. E subito dopo ho avvertito questa sensazione, non era una voce, ma una vera e propria sensazione che mi diceva "fa niente, non ha importanza" e mi sono sentito trasportato verso la luce. E sono tornato bambino, con l'aspettativa di una nuova esperienza, ed è l'ultima cosa che mi ricordo, mentre mi dicevano che ero morto.


Successivamente mi sono ritrovato a fissare questa abbagliante luce bianca e pensavo fosse l'Inferno, mentre di nuovo sentivo questo dolore molto forte: ero al pronto soccorso dell'ospedale e ricordo che pensai che mi veniva data una seconda opportunità di compiere qualcosa di significativo. A tutt'oggi non ci sono ancora riuscito, ma nel frattempo ho avuto due figli maschi e forse loro potranno fare più di quanto non abbia fatto io. Ma ho il ricordo molto vivo nella mia mente di essere morto e di avere avuto questo nuovo inizio. Naturalmente un'esperienza di questo genere ti porta a chiederti perché siamo qui, che ci facciamo, perché alcuni di noi vengono portati via e perché io non sono stato portato via in quel momento: ci deve essere stata una ragione, proprio perché ho avuto un infarto devastante in seguito al quale ho dovuto sottopormi a una riabilitazione che è durata molti mesi, ho avuto una fisioterapista che mi ha reinsegnato il movimento, prima il braccio sinistro, poi quello destro, ho dovuto reimparare a muovermi e a camminare.


Vi dico questo perché adesso, ogni volta che mi sveglio la mattina, anche se sono molto stanco, anche se piove o nevica, quando apro le tende vedo la luce del giorno, e sono molto grato per vivere ogni nuova mattina. Adesso quando vedo le persone le guardo e cerco di capirle e di mettermi in relazione con loro in quanto individui, più di quanto non facessi prima


GDV: Pensi che il destino sia un tema molto forte dei tuoi film?


WF: Certamente, il mistero del destino di ognuno di noi: prendete per esempio una persona come Primo Levi, che è stato prelevato da Torino a un certo punto della sua vita e portato in un campo di concentramento. E' riuscito a sopravvivere e ha vissuto poi per molti anni, salvo alla fine scegliere di suicidarsi: questo per me è estremamente misterioso. I due argomenti principali del mio cinema sono il mistero del destino e il mistero della fede. Il fatto che milioni di persone, per esempio, credano nell'esistenza di un essere superiore, senza averne prove tangibili, ma semplicemente confidando nelle emozioni provate nel più profondo del loro cuore, trovo che sia molto affascinante e interessante E' stato questo argomento che mi ha portato a fare L'esorcista.


P: Progetti futuri?


WF: Certamente non Charlie's Angels 3… Per l'anno prossimo ho in progetto un film, Serpentine, un thriller molto teso, basato ancora una volta su una storia vera. Però ho in progetto di dirigere anche delle altre opere liriche, cosa che attualmente sto già facendo ed è il mio interesse principale, tant'è che cerco di organizzare il mio lavoro di regista cinematografico in funzione delle regie delle opere che intendo fare. Ho in agenda dei lavori fino al 2006 in varie città del mondo, adoro l'opera e, in qualche modo, mi sento come se fossi stato promosso da regista cinematografico a regista teatrale di opere. Ho ancora in progetto di dirigere film, ma devo confessarvi che trovo che il cinema come forma espressiva e artistica sia estremamente decadente oggi.


GDV: Perché decadente?


WF: Decadente perché considero i film che vengono fatti oggi allo stesso modo in cui Raoul Walsh considerava i film della mia generazione degli anni settanta: li trovo molto infantili e mi auguro che un giorno possano diventare più sofisticati. Ma in sostanza sia Raoul Walsh che io siamo dei gran presuntuosi (letteralmente "are completely full of shit", n.d.r.)…


Dio vi benedica e [in italiano] grazie.


TORINO, 16 novembre 2003


Incontro col pubblico


Sono presenti anche Dario Argento e Jack Hues, autore delle musiche di Vivere e morire a Los Angeles


GDV: Vorrei chiedere a Bill Friedkin della sua videointervista a Fritz Lang: per quale motivo l'hai fatta?WF: Nel '75 pensavo che Fritz Lang non fosse ancora vivo, dal momento che non faceva film ormai da molto tempo. Qualcuno però mi disse che era ancora vivo e abitava a Hidden Valley Road: così attraverso la Director's Guild of America, l'associazione dei registi americani, ho avuto il suo numero di telefono, l'ho contattato e gli ho chiesto di incontrarlo. Gli ho spiegato chi ero, perché lui non sapeva chi diavolo io fossi, evidentemente avrà chiesto informazioni sul mio conto a qualcuno di sua fiducia e alla fine ha accettato di incontrarmi, specificando che era molto stanco: solo adesso mi rendo conto di cosa intendesse dire, all'epoca non potevo capire.


A quel tempo avevo pensato alla possibilità di realizzare un film che coinvolgesse una serie di registi che avevano fatto pellicole di fantascienza o horror: era solo un'ipotesi che non avevo mai concretizzato. Proprio per questo avevo già intervistato Roman Polanski (non ho idea di dove sia adesso questo film) e ora mi si offriva la possibilità di incontrare Fritz Lang. Pertanto abbiamo registrato l'intervista a casa sua, con una troupe molto contenuta: siamo andati ogni giorno da lui per un'ora, e mentre lui parlava sotto la macchina da presa aveva dei pezzettini di pane nero e salsicce tedesche che ogni tanto mangiava, naturalmente questo non si vede nel filmato. Comunque ha parlato in totale per due ore. Poi io ho dimenticato questo film e l'ho conservato nel mio garage.


Un paio d'anni fa, però, qualcuno mi ha telefonato dal Festival di Berlino chiedendomi dell'intervista che avevo fatto a Fritz Lang, me l'hanno in pratica ricordata loro. Però le due ore di girato non erano montate, la banda sonora e quella delle immagini erano ancora separate. Ma loro volevano presentarlo al Festival, così ho spedito in Germania tutto il materiale, l'hanno passato e poi me l'hanno restituito e io l'ho rimesso in garage. Poi mi ha telefonato Giulia, dicendomi che voleva presentare alcuni miei film al Festival di Torino, e mi ha chiesto ancora una volta di quell'intervista a Fritz Lang. Io le ho spiegato che non era montata, non sapevo nemmeno se fosse utilizzabile perché a volte Lang non aveva risposto alle mie domande, andando fuori tema, dicendomi quello che gli veniva in mente. Comunque Giulia mi ha chiesto di darci un'occhiata perché voleva che passasse qui al Festival di Torino: così ho guardato queste due ore di materiale, molto del quale era ripetitivo, ho tagliato le parti in eccesso, mantenendo l'essenziale, e ho dato al film la forma definitiva di cinquanta minuti. Un anno dopo la realizzazione di questa intervista Fritz Lang è morto.


Credo che l'impulso che mi ha spinto a fare questa intervista fosse quello di toccare un pezzo di storia del cinema: era una grande opportunità, e lo sarebbe stata per qualunque amante del cinema, dal momento che Fritz Lang è sicuramente uno dei pilastri della storia di questa arte. Avrei voluto essere un intervistatore migliore, avrei voluto farlo parlare di più, ma già il fatto che ci sia questa intervista, che credo sia l'unica che lui abbia mai fatto in inglese, penso sia importante. Per questo ho voluto renderla disponibile a tutti gli organismi che possono essere interessati. Ma devo tutto a Giulia, perché io non l'avrei mai toccata se lei non mi avesse chiesto di mostrarla qui a Torino. Inoltre devo aggiungere che mi viene in mente solo un altro posto al mondo dove è possibile avere un pubblico meraviglioso come questo per vedere un documento simile, cioè la Francia. Lì forse potrebbe esserci un numero sufficiente di persone come voi, quindi vi sono molto grato per essere venuti qui.


GDV: C'è una cosa che trovo affascinante nell'intervista: Lang non parla solo dei suoi film, ma Billy gli chiede anche delle cose particolari riguardo alle tematiche dei suoi film, in particolare la possibilità di mostrare o meno la violenza sullo schermo. Vorrei che Billy ci parlasse un po' di questo.


WF: Ho la sensazione che Mr. Lang avesse modificato molto le sue idee nel corso della sua vita lavorativa. Durante l'intervista ha parlato profusamente del fatto che non credeva che Metropolis fosse un bel film. Me ne aveva parlato a lungo, anche se poi ho tolto gran parte di questo materiale perché secondo me era sbagliato e non volevo che venisse in qualche modo memorizzato. Ma ricordo che mi disse che Metropolis a suo parere fosse troppo semplicistico; poi aggiunse che alcuni studenti universitari gli avevano fatto presente che il film non è affatto semplicistico, ma è invece un documento molto importante su come la borghesia opprime la classe operaia. A quel punto si era dunque convinto che fosse giusto avere una storia del genere, pur continuando a pensare di avere realizzato il film in modo semplicistico.


Per quanto riguarda la violenza, sicuramente il suo film più interessante in tal senso è M – Il mostro di Dusseldorf. Questo film disturba, ma è molto sottile, la violenza è soprattutto nella vostra immaginazione ed è quello il suo approccio: poter realizzare un film che disturbasse il pubblico non mostrando violenza esplicita. Invece quando ho intervistato Roman Polanski e gli ho fatto la stessa domanda, mi ha detto che fare un film sulla violenza senza mostrarla è come fare qualcosa di incompleto: Polanski usò addirittura l'espressione "è quasi un sacrilegio". Non perché volesse in qualche modo soddisfare la sete di sangue del pubblico, ma perché, a suo modo di vedere, il fatto di mostrarla rendeva la violenza più palpabile e, in ultima istanza, avrebbe creato una minore eccitazione nel pubblico.


Magari ora Dario vuole parlare del suo approccio alla violenza, tutti noi la conosciamo, ma sarebbe interessante sentire lui che cosa pensa del fatto di non mostrarla.


DARIO ARGENTO: Per prima cosa vorrei dire quanto questa bellissima intervista mi abbia toccato: è stata una eccezionale visione di un uomo, Lang, che per me è uno dei più grandi registi mai esistiti. Anch'io quando facevo il giornalista ebbi l'onore di intervistarlo, brevemente, mentre era di passaggio a Roma. Lo incontrai in albergo e mi parve molto garbato, avevo letto invece che era una persona cattivissima. Comunque in questa bellissima intervista, secondo me, manca tutto il periodo dei film realizzati al di fuori della Germania, che forse sono tra i suoi più belli o quanto meno sono quelli che noi conosciamo molto bene.


Inoltre in questa intervista sembra di conoscere la nascita del cinema: lui racconta come è diventato prima attore, poi scrittore, poi di nuovo attore, poi produttore, poi regista, in uno strano carosello, come se tutto fosse quasi la stessa cosa. Lui addirittura ha detto a un certo punto che voleva tornare a fare il chimico, misteriosamente: insomma, un uomo sublime. Poi, e questa è storia, racconta della sua fuga dalla Germania, una situazione quasi da thriller, e infatti stranamente quando andò in America fece tutti film thriller, perché deve aver molto sofferto la paura in quel momento. E poi mi piace anche moltissimo il momento in cui Bill gli dice una cosa e Lang gli risponde "stai zitto, parlo io adesso" e Bill ha fatto come un bambino "si, si": come un bambino è stato davanti al Maestro. Insomma mi è difficile parlare, perché di interviste così belle non se ne vedono più, non si possono vedere. E pensare che questo signore teneva questa intervista bellissima nel garage. Vi rendete conto? Per anni e anni lui l'ha tenuta nel garage… Incredibile!


Tornando alla domanda sulla violenza, io penso che non mostrare la violenza oggi, non ai tempi di Fritz, sia ipocrita, perché la violenza c'è e la viviamo. Quindi sono d'accordo con Polanski, che peraltro conosco molto bene: in effetti è una sorta di vigliaccheria non mostrare. Oppure è piaggeria nei confronti della censura o delle grandi compagnie che ti producono i film e che, nel mio caso almeno, quando faccio i film dicono subito, "però, per favore, questa volta vacci piano col sangue"… Mi dicono sempre così, e io, come Fritz Lang davanti a Goebbels, mento e dico "ma non vi preoccupate"… Quindi a Mr. Goebbels, cioè al mio produttore, io dico un sacco di bugie. Perché invece la violenza è un tema che se tu senti di raccontare devi farlo, accidentaccio! Un secolo prima di Fritz Lang, Edgar, Allan Poe ha raccontato la violenza, in modo tutt'altro che vago, crudelmente, con dovizia di particolari. Pensiamo solamente a Berenice, con il cugino che dissotterra la tomba, prende il cadavere e gli strappa i denti: è raccontato precisamente. Quindi è una questione personale: per quanto mi riguarda io sono d'accordo nel raccontare la violenza.


GDV: C'è un'altra cosa che vorrei chiedere, sono state fatte queste due interviste a Polanski e Lang per uno tuo progetto sull'Horror. Il tuo rapporto con l'Horror è molto diverso rispetto a quello di Dario e vorrei che tu ce ne parlassi.


WF: Io non credo di avere mai realmente fatto un Horror classico, come ha fatto Dario. Non mi sento nella stessa classe: non ho mai pensato a L'esorcista come ad un film puramente Horror, anche se mi rendo conto che molti lo considerano come tale. Ma per quelli che conoscono i grandi Horror, come me e voi, è noto che molte grandi opere nel genere sono state realizzate da Dario, da Mario Bava, da James Whale… In realtà, non ci sono molti nomi che mi vengono in mente, ci sono parecchi film stupidi che copiano quelli di Dario Argento e che in qualche modo fanno pensare meno al genere. Un film certamente grandioso è Non aprite quella porta, l'originale, adesso è stato rifatto, ma non l'ho visto. Forse Dario è in grado di parlare di questo remake, non è un Horror in senso classico, è più divertente, fatto un po' come Scary Movie che è, poi, quello che l'Horror è ormai diventato in America: un qualcosa di umoristico, satirico. Forse è il modo di cui la gente ha bisogno per poter affrontare questo genere. Comunque io non ricordo di aver visto molti film che mi hanno spaventato profondamente: oltre ai film di Dario posso citare Onibaba, il film giapponese [di Kaneto Shindô, 1964; n.d.r.], o il primo Alien, quello di Ridley Scott, che credo sia veramente spaventoso. Poi Rosemary's Baby, perché è profondo, mi riferisco in particolare al senso filosofico che lo rende quasi un'opera di letteratura.


In ogni caso non ho mai pensato all'Esorcista come a un Horror: è un film che parla del mistero della fede, di qualcosa che è realmente accaduto. Alla base del racconto di finzione narrato nel film, c'era infatti una vicenda realmente accaduta a un bambino di 14 anni (non a una bambina di 12) del Maryland. Quindi, francamente, io considero L'esorcista più un documentario su quella storia, un documentario di finzione per così dire, che non un puro film Horror. Vorrei un giorno poter fare un Horror puro, ma è un genere che è così rivendicato da Dario Argento e da una manciata di altri registi, che non ti senti di misurarti. Se voi avete visto mai visto un Rembrandt o uno dei maestri italiani del Rinascimento, non vi verrebbe mai in mente di mettervi a dipingere. Sono opere di geni, per cui se volete lavorare in campo artistico dovete trovare un'altra forma espressiva, io mi sento molto intimidito da una serie di forme d'arte, come la pittura o la letteratura. Sono incapace di scrivere, di mettere insieme due frasi intelligenti, sono bloccato perché ho trascorso molti anni a leggere Proust. Quindi se qualcuno mi dà un nuovo romanzo da leggere dicendomi che è molto bello, io lo apro… e poi ricomincio a leggere Proust…


Quindi l'Horror è un genere che adoro quando è ben fatto, ma non credo che mi ci potrei cimentare. Certo, se si tratta di un thriller o un poliziesco mi sento molto più sicuro di me.


PUBBLICO: Può parlarci di come è nata la collaborazione con i Wang Chung per la realizzazione della colonna sonora di Vivere e morire a Los Angeles?


WF: Come per altri film che ho fatto, anche in Vivere e morire a Los Angeles il tema riguarda la linea sottile che separa il poliziotto dal criminale, perché abbiamo un agente dei servizi segreti che ha addosso la responsabilità di proteggere il politico più importante dell'America e che deve cercare di incastrare qualcuno per un reato che forse non ha commesso.


Per quanto riguarda la musica io ero in Inghilterra prima di fare il film e alla radio ho sentito alcuni brani di un album che i Wang Chung avevano fatto, credo fosse il loro primo album, e ho pensato che fosse un sound veramente meraviglioso, molto sofisticato, ma anche molto musicale: le parole erano straordinarie, erano state evidentemente scritte da qualcuno che aveva letto molta poesia. Così, non sapendo chi diavolo fossero questi Wang Chung, sono risalito a loro attraverso il loro impresario. Loro non avevano mai scritto una colonna sonora per un film, ma ho spiegato a Jack e ai suoi soci che volevo lo facessero. A quel tempo non avevo ancora fatto il film, ho raccontato loro la storia, ho dato loro la sceneggiatura, che pur non essendo fedele a quello che poi è stato il film era comunque utile per dare un'idea generale e ho aspettato di avere i brani per poter montare il film. Ho detto loro che ero sicuro avrebbe funzionato perché le nostre sensibilità erano molto affini, credevo in quello che avevano fatto e che io stavo cercando di fare. Così hanno trovato l'idea interessante e sono entrati in uno studio, hanno registrato alcuni brani e me li hanno mandati per posta. Io li ho ricevuti, li ho ascoltati e li ho trovati fantastici, era esattamente quello che volevo. Però avevo specificamente chiesto a Jack di non scrivere una title track. Ma, dopo aver visto il film montato e con la sua musica, Jack ha ugualmente scritto una canzone con il titolo del film. E io l'ho trovata eccellente, ma non avevo più una sequenza dove inserirla e mi sono chiesto come usarla. Non volevo semplicemente aprire il film con i titoli perché non mi piacciono i credits all'inizio. Così sono andato a girare la sequenza del presidente che arriva in albergo per poter usare il brano di Jack. Peraltro questa canzone è considerata in America come la più "forte" su Los Angeles. Ora Jack vuoi dire qualcosa? E' il momento in cui puoi dire "no"…


JACK HUES: Adesso è troppo tardi per dire "no". E' molto difficile per me commentare l'uso della musica nel film perché, come dice Bill, lui mi ha dato soltanto qualche indicazione verbale e come sempre io pensavo solo alla musica, non al film. Lui mi aveva detto che gli piaceva "Wade", una delle mie canzoni. Per me "Wade" è molto particolare, ha un ritmo veloce e teso in alcune parti e più calmo in altre. Così, quando mi ha detto che voleva una musica come quella, per me è stato facile, avevo una serie di idee che potevano applicarsi a questa sua indicazione: è stata una grande sfida per me e quando sono entrato in studio è stato un sollievo non dover pensare alle parole. Io e il mio socio Nick Feldman abbiamo affrontato questo lavoro con grande libertà. L'altra sera siamo usciti a cena con Billy che ci ha raccontato una serie di aneddoti fantastici: una delle cose che mi ha maggiormente colpito, però, è stato apprendere che all'inizio della sua carriera, anche ne Il braccio violento della legge, lui non prendeva sul serio quello che faceva. Sicuramente neanch'io prendevo sul serio quello che facevo con questa colonna sonora, non dico che mi divertissi in senso superficiale, ma mi piaceva la libertà, il senso di uno scopo nel poter fare una cosa che amavo e questo ha molto a che vedere con l'energia della musica in Vivere e morire a Los Angeles. Quando adesso vedo il film provo un grande senso di umiltà per il fatto che la musica abbia aderito alle immagini in quel modo e sono ancora sorpreso di essere qui a parlarne adesso, vent'anni dopo. Avere delle persone che ancora la apprezzano è un grande privilegio.


P: Una domanda da fan spudorato: quando vedremo il Director's Cut di Cruising?


WF: Gelerà l'Inferno prima che sia resa visibile la versione integrale di Cruising! Sono stato molto ingenuo nel girare il film nei luoghi dove avvenivano quei fatti e nel poter poi pensare di mostrarli a un pubblico. Vi racconto una storia che riguarda la prima volta che abbiamo mostrato il film ai censori americani: all'epoca Cruising era più lungo di 40 minuti. In America non puoi mostrare il film senza farlo passare davanti alla commissione di censura: mandi il film e 7 persone anonime (nessuno di noi sa chi siano) siedono in una sala e decidono se il resto di voi può vedere questo film. Stanno lì e fanno così [mima dei vivaci mugugni di disapprovazione, n.d.r.] e alla fine dicono: "non possiamo far vedere questa parte".


Per Cruising il produttore era un uomo incredibile, Jerry Weintraub: l'ultimo film che ha prodotto è stato Ocean's Eleven, ma aveva fatto anche Nashville ed era più un promotore che un produttore. Ha fatto il promotore di concerti di Elvis Presley, Bob Dylan, Frank Sinatra, Neil Diamond e mi ha presentato lui il progetto di Cruising: non era proprio come poi io l'ho realizzato, ma comunque fu lui a darmi l'idea. Ebbene lui invitò il capo della commissione di censura, Richard Hefner, a casa sua per vedere questo film, che durava circa due ore e mezza e aveva cose che non vi posso neanche descrivere. Facemmo una cena incantevole, con Jerry e la moglie, che sono ottimi ospiti, vivono a Malibù sulla spiaggia. Poi, dopo cena, ci siamo seduti nel soggiorno di Jerry, è sceso lo schermo e abbiamo visto Cruising, per quest'uomo che avrebbe dovuto dare il criterio di censura, il divieto ai minori. Era vestito in giacca e cravatta, era un tipo molto a modo. Inizia il film e io comincio a sentire "Oh no! Oh no! Oh no!" [ripetuto più volte, con un tono di voce sempre più alto, n.d.r.] e pian piano Hefner si tolse la giacca e poi la cravatta e alla fine del film urlò "No, no!". A quel punto si accesero le luci e lui era lì, seduto, sudato, era il ritratto della menopausa maschile, l'andropausa. Ci rendemmo subito conto che era profondamente turbato e che avevamo grossi problemi, ma Jerry disse: "Cosa ne pensi Dick, ti è piaciuto?"… E' così che fa Jerry di solito, potrebbe esserci un incidente con 40 morti e lui arriverebbe a dire "Interessante, no?"… E Hefner disse: "Se mi è piaciuto? Jerry questo è il peggior film che io abbia mai visto, è disprezzabile, è terribile!" E Jerry continuò: "Ma che divieto avrà?". "Divieto? Non ci sono abbastanza X nell'alfabeto per vietarlo e non può essere tagliato, né può essere aggiustato!". A quel punto Jerry disse: "Dick, non puoi farmi questo, questa è la mia vita, ho dei soldi in questo film". Jerry è molto persuasivo, è in grado di far piangere Hitler. Passarono così un paio d'ore e alla fine Hefner propose di portare il film al suo predecessore, quello che aveva creato il codice dei divieti, con tutte le varie "R", "M", "S" (che sta per stupido, il che significa che solo gli stupidi possono vedere quel tale film…). Questo tizio, Harrell Stern, era uno psichiatra che esercitava a New York. Si trattava dell'uomo che, mezz'ora dopo la visione, aveva dato all'Esorcista il divieto "R", fatto che lo rendeva visibile ai minori di 17 anni accompagnati dai genitori, e non rendeva necessario praticare dei tagli. Infatti dall'Esorcista non è stata tagliata neanche un'inquadratura a scopi censorei. All'epoca di Cruising quest'uomo era in pensione, esercitava in privato a New York e io gli telefonai e lui si dimostrò disponibile a visionare il film. In effetti egli a volte dava delle consulenze per i film più difficili, dei consigli ai cineasti su come tagliare e convinceva anche i censori a dare un divieto inferiore. Il suo onorario era 1000 dollari al giorno per questo. Così abbiamo portato il film a New York, pensando che nel giro di tre giorni la faccenda si sarebbe risolta. 50 giorni dopo – e 50.000 dollari dopo – Cruising era diventato un altro film per i vari tagli che erano stati apportati e che io naturalmente mi aspettavo. Così ripresentammo il film alla commissione di censura, era ancora piuttosto esplicito, e ricevemmo la "R". Quindi il film è uscito più "leggero" di 40 minuti, che peraltro costituivano il vero motivo per cui lo avevo fatto.


Ho ancora il girato: il film è della Warner Brothers, ho parlato con loro perché vorrei che uscisse nuovamente. Si sono detti interessati, ma senza avere visto il materiale scartato, nessuno l'ha mai visto. Questo è il genere di film che in un'epoca diversa avrebbe portato sul rogo qualcuno. Io non me ne sono reso conto perché secondo me niente non deve essere mostrato, la gente ha la facoltà di scegliere se vederlo o meno, ci sono le critiche e le recensioni che aiutano a regolarsi. E' ovvio che nessun bambino dovrebbe mai vederlo, ma molti adulti sono bambini per tanti aspetti e anche loro non dovrebbero visionarlo. Comunque io ero talmente ingenuo da pensare di poter mostrare il film nel modo in cui l'avevo realizzato. Personalmente non credo che quei 40 minuti verranno mai mostrati, perché i censori che ci sono adesso sono molto più repressivi: in confronto a loro Richard Hefner sembra Hugh Hefner [il creatore di "Playboy" n.d.r.].


(Trascrizione e revisione a cura di Davide Di Giorgio)

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