GOMORRA E BASTA

La nostra scrittura nasce dalle emergenze, positive, come l'amore, o negative, come la violenza e il dolore. Questa volta è una città a scatenare tutto questo: si parte da Napoli e si va giù, fino a Gomorra. Ci accompagna, per un pezzo, Roberto Saviano che comincia il suo libro (Gomorra, appunto) con una dedica: "a S., maledizione".

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Ora che Roberto Saviano ha dovuto avere la scorta, beh, è come se il cerchio si fosse definitivamente chiuso.

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Ora mi chiedo: questo libro lo avrà letto il nostro beneamato sindaco? Gli ha consegnato un premio – il Siani – allora lo avrà letto, credo. Rosa Russo Iervolino la smetterà, ora, di dire che Napoli è una città come le altre? Intendiamoci: sono cose che apprendo dai giornali: il giorno prima che scoppiasse la faida sanguinosissima che ha sconvolto Napoli per alcuni mesi, mi bevevo certe affermazioni pubblicate su Repubblica-Napoli dove il mio sindaco si diceva amareggiato da come parlassero male di noi certi giornali stranieri (soprattutto quelli francesi – c'era pura una foto di Libération). E, il giorno dopo, fuori scuola mia, in una tabaccheria hanno fatto fuori il proprietario, lì è iniziata la mattanza. Sono arrivati prima i camorristi a fare un sopralluogo: i carabinieri (che hanno una loro caserma di fronte alla tabaccheria in questione) hanno dovuto fare la fila e aspettare il proprio turno. Poi, quando quelli hanno finito, sono entrati. Voci di corridoio, intendiamoci.


Poi le foto sui giornali si sono moltiplicate e, puntualmente, c'era il sindaco che si rizzelava e se n'è avuto a male anche quando è sceso in campo Santoro con la sua trasmissione.


Io, però, li capisco questi politici: aiutati dagli intellettuali, stanno lì sempre a ripetere che Napoli non è solo questo. E' evidente che è così, che a Napoli ci sono anche degli angeli con ali incredibili, bellissime, ali spelacchiate e piene di bruciature, ma che continuano a volare. Però angeli per l'appunto. Non uomini. Solo angeli. In un posto popolato da demoni non c'è spazio per gli uomini veri. Solo le mezze cartucce, quelle che sguazzano nella melma, quelle che, mostrando giovani mostruosità, dicono che, lì, c'è la forza, la creatività, la libertà. E, invece, sono quindicenni che spacciano, che sparano, che camminano armati, che ti spaccano la faccia. Sono anomalie del sociale che è sacrilego elevare al rango di eroi, di vittime, di personaggi da tragedia. Lasciate stare i classici greci studiati al liceo: la verità è che, qui, di spazzatura ce n'è a montagne.

Venite dalle mie parti, vi ospito io. Qui capirete da dove vengono certe idee, anche cinematografiche: gli zombi di Romero li potete vedere per davvero, sono i tossici che, a gruppi di dieci, venti, si spostano da una "piazza" all'altra per la 167 di Secondigliano. Alle fermate dei bus sostano a gruppi, in attesa del mezzo per tornare alle loro case.


Ma per parlare di queste cose qui dovete affacciarvi dal balcone di casa mia. Oppure avere il coraggio di un Roberto Saviano, un leone che ruggisce e che mette in scena la storia così com'è, senza metafore, senza infiocchettamenti. E se anche Peppe Lanzetta, su Repubblica, dice che quando la battaglia è persa, bisogna avere il coraggio di dirselo, allora è così, allora bisogna rileggere i suoi racconti, tutti i suoi racconti, per cercare di capire cosa si poteva fare e cosa non si è fatto. Una vita postdatata, Figli di un Bronx minore, Tropico di Napoli… le storie stanno tute là dentro – là dentro c'è la Storia.


Intendiamoci: cosa può fare un povero sindaco? Un sindaco è un essere umano. Non un super-eroe, non un angelo. Si arrabatta con le parole, cerca di darsi da fare, fa retorica, invita a pensare che ogni mondo è paese, lancia strali contro chi se ne fugge. Ma da Palazzo San Giacomo si vede, credo, il mare. E si vede il porto, il Maschio Angioino. Non basta: Napoli è alle spalle. E preme. Il male è tutto là, un male che fa comodo a molti, ai camorristi e non solo. E' un male che riguarda tutta l'Italia.


 

Per questo Gomorra, lo splendido libro di Roberto Saviano, dovrebbe essere adottato nelle scuole di ogni ordine e grado: bisognerebbe mettere da parte Manzoni e cercare di capire cosa si agita da queste parti.


Dovrebbe, poi, essere il libro dei milanesi, degli aretini, dei romani: è l'intera nazione che si porta dentro questo cancro, questo utilissimo cancro che permette di sopravvivere al Veneto e alla Lombardia e a tante altre regioni d'Italia. A partire dall'eliminazione dei rifiuti tossici. Gomorra è lì, che vi attende.


Mi sarebbe piaciuto invitare Roberto a scuola mia, una scuola di Melito di Napoli, l'hinterland maledetto della città mezzo-pesce mezzo-donna, ma, ora, non ne ho il coraggio, non mi va di offrire alla camorra un altro spazio dove mettere in scena qualche altra tragedia vera.


In qualche modo sto pensando di fare le valige, di educare figli e alunni alla fuga – che non è cosa cattiva, è cosa semplicemente, maledettamente necessaria. Preferisco lasciare Napoli a quelli del Vomero, a quelli di Via Petrarca, a quelli che abitano a Posillipo, quelli penso che a Napoli possano restare. Sono persone che si spostano rapidamente: se la nave affonda, hanno scialuppe apposite. Chi non ha scialuppe deve muoversi per tempo. Alla faccia di chi invita alla lotta, di chi invita a rimanere: chi parla così ha sufficienti forze per scappare a razzo, ha sufficienti macchine (con tanto d'autista) per svoltare l'angolo in men che non si dica. Lascio a loro la mia città, la mia sirena delle meraviglie (chi viene a Napoli impara anche questo: che le sirene esistono e, qui, può vederle: lei sta lì, muta, adagiata sul mare. La sua bellezza fa impallidire).


Da Napoli, insomma, è necessario fuggire. Ma io resto – ma solo per povertà, per mancanza di forza, sia ben chiaro.


Maledizione.


 


Roberto Saviano, Gomorra, Mondadori, € 15,50


 

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