Ostinatamente marginale: un ricordo di Corso Salani

Corso Salani in OccidenteRiceviamo da Giovanni Bogani, e volentieri pubblichiamo, questo ricordo del cineasta scomparso prematuramente il 16 giugno,  I funerali di  Corso Salani saranno celebrati sabato 19 giugno, alle ore 11, alla Chiesa di Santa Lucia a Firenze.

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La prima volta che ci siamo incontrati era in un bar, a Firenze. Era un ragazzo magro, due anni più  grande di me. Lui ventotto anni, io ventisei. La sera prima avevano applaudito “Voci d’Europa”, il suo primo film. Un viaggio in tre posti di confine. Un viaggio fatto con la cinepresa, quasi senza storia. Alla Wenders, ma ancora più vicino alla  normalità, qualche volta anche alla banalità della vita vera. Li avrebbe sempre fatti così, i suoi film. Inseguendo i confini del mondo. Inseguendo la sostanza stessa del tempo. In quel bar parlammo di Fiesole, dove era cresciuto. Sentivo odore di liceo buono nel suo parlare, di borghesia seria, rigorosa. Il suo cognome lo conoscevo: Salani erano le edizioni dei libri per ragazzi più famosi. Un mondo di fiabe, di cose da imparare, con calma, per diventare grandi. Suo nonno, editore. Mi parlò della sua Vespa. Avevamo tutti e due la passione per la Vespa.

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Ma lui ha viaggiato davvero. Sempre in quel modo, un po’ da esploratore solitario. Sempre un po’ controvento. Il cinema lo scoprì, come attore, poco dopo. “Il muro di gomma” con Marco Risi, e poi ancora con Marco Risi “Nel continente nero”. Gli telefonai, gli chiesi com’era girare in Africa, in Kenya. Mi disse: “Mah, si fanno tante passeggiatine…”. A Corso non piaceva alzare i toni. Niente esotismi. Passeggiatine. E le mozzarelle di un italiano che viveva lì. E recitare, per lui, era stare a guardare Abatantuono, e sentirsi spettatore di un fenomeno naturale, travolgente. Abatantuono che recita. Quasi non gli sembrava di esserci anche lui, e da protagonista, in quel film.
Di fare l’attore forse non gli è mai importato molto. Altri registi lo hanno chiamato, di film ne ha fatti. Ma sempre come prestando la sua maschera, il suo volto, ma senza passione. La passione ce la metteva quando andava ai confini del mondo. Storie di viaggi, di amori per un’attrice, fascinazioni che diventavano visibili, che diventavano la trama stessa del film. Come quello girato in Sudamerica, “Palabras”.
 
Il suo film bellissimo, anche quello sul crinale tra realtà e finzione, girato tra l’Est e l’Italia: “Gli occhi stanchi”. La storia di una  immigrata dell’Est. La cinepresa quasi sempre sul volto di lei. Non si stancava mai di inquadrare volti. Volti e strade, volti e paesaggi, volti e notti, volti e autogrill. Fanali di auto, alberghetti, campagne desolate.  
Gli piaceva farli, i film, più di ogni altra cosa. Il loro cammino, nei festival, o in sala, o in televisione, era secondario. Più importante era catturare il tempo.  
A casa sua, a Roma. Vicino al Colosseo. L’ultima volta, per un reading di un libro. Mi stupì che si mettesse gli occhiali con le lenti grandi. Pensai per un attimo che stavamo invecchiando, ma solo per un attimo. Altre volte a casa mia, a Firenze. Ha girato un video per me. Dovevo raccontare la solitudine di un uomo. Era tutto improvvisato, naturalmente. In una scena, lui apriva il mio frigorifero. C’era soltanto una carota secca. E lui cominciò  a guardare quella carota, con rassegnazione, disperazione e comico sconcerto. Quel giorno, c’era davvero solo una carota nel frigo.
Il suo cinema ostinatamente marginale, senza niente degli accessori necessari per “piacere”: locations fighe, musiche, storie accattivanti, dialoghi costruiti. Eppure, nel loro camminare incerto, come senza un finale, senza una storia, a me sono sempre sembrati proprio belli. Belli i luoghi che scovava, belli i momenti che filmava, momenti blu, la fine della notte, crepuscoli estenuati. O momenti di attesa, in cui sembra non succedere niente. Corso ha disegnato il tempo, nei suoi film.

Corso Salani in OccidentePerò di tempo doveva essercene tanto altro. Per lui. Per noi, con lui. Ho sempre pensato che i tuoi film, i tuoi appunti di viaggio, erano le prove generali di un film bellissimo che avresti fatto. O che, un frammento dopo l’altro, avresti composto una mappa del mondo raccontato da te. Un confine dopo l’altro. Un cinema di confini. Una geografia immaginaria, quasi quanto quelle di Calvino e di Borges.

Nei tuoi film c’eri sempre, dritto, alto, come distaccato. Solo una volta, forse, hai fatto capire fino in fondo quanto impegno, quanta dedizione, quanta sofferenza anche ci fossero nel tuo cinema. Nei tuoi film/non film. E’ in “Palabras”, se non mi sbaglio. Cominci un monologo lungo, spietato, doloroso. Su quello che significa, per te, fare cinema. E farlo in quel modo. E quanto dolore ti dava chi non capiva il tuo progetto, se ne fregava, o aspettava un ordine per girare, ma senza passione, senza metterci niente di suo.
Ci siamo visti per il film di Federico Bondi, “Mar Nero”, e mentre giravi la serie sul mostro di Firenze. Si parlava di Fiorentina. Ci si trovava subito, con quel parlare fiorentino che basta un attimo e, anche dopo un anno che non ci si sente, sei già in sintonia. E ora dove sei andato. Che confine sei andato ad esplorare. (Giovanni Bogani)
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    3 commenti

    • Michele Tarzia

      Molte volte il cinema riesce a regalare delle belle emozioni, e credo che il cinema di Corso Salani, in tutte le sue sfumature, sia riuscito a realizzare questi sentimenti…<br />Spero che il suo viaggio cinematografico continui per sempre.

    • Marialuisa Mazzone

      Bellissimo articolo che delinea il profilo di un artista da me conosciuto soprattutto come attore. Ma con uno sguardo indimenticabile.

    • e' un ricordo bello, vero se sincero. Lui era proprio così. Inolre amava molto ascoltare le persone, capirle, fare loro domande e non è sempre così scontato trovare qualcuno che ti presta attenzione. Mi ha detto "devo stare via due mesi per delle riprese" ed era contento di tornare nei suoi posti nel mondo che era il suo mondo. POi quando è tornato non c'è stato il tempo per raccontarci ancora una volta le cose. Uno come lui si pensa sempre di vederlo sbucare da un angolo di mondo o di paradiso…