EDITORIALE: Bruno Plastico

bruno plasticoL’osservatore Bruno Plastico così si trasforma nel primo nemico: un mostro gigante del genere cinematografico catastrofico-fantascientifico: lucertolone, insetto gigante, mostro preistorico. Mostro sproporzionato che imperversa nella città, in un quartiere, nella strada sottostante. Dal fiato radioattivo emerge improvvisamente dagli abissi e si affaccia sulla baia di Avetrana. Tutto è nel plastico e nullo esiste fuori di esso: verità e mondo esterno risultano ormai così concetti insostenibili

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bruno plasticoNell'estate del '69, tutti erano col fiato sospeso per l'Apollo 11, perchè per la prima volta due computer prendono a comunicare fra loro: non si trattava della conquista dello spazio, ma probabilmente della sua fine. Nell'estate del '76, quando durante la finale degli Europei di calcio l'attaccante cèco Panenka beffò il portire tedesco con un rigore a “cucchiaio”, ecco consumarsi un'altra rivoluzione inavvertita: quella nuova curva nello spazio concepito, segnava l'inizio dell'età della globalizzazione. Bruno Plastico oggi è l'erede di questa rivoluzione: è colui che si fa carico del problema dell'origine di un assassinio, di uno stupro, del genocidio globale. Oggi la geografia l'hanno quasi abolita dalle scuole, segno di un disprezzo per le proprie origini che la cultura occidentale coltiva ormai da tempo. Preoccupante è il progressivo scollamento tra il funzionamento del mondo e le nostre capacità di comprenderlo. Oggi la rete avrebbe eliminato lo spazio e il tempo. Non significherebbero più niente per il funzionamento del mondo. Possiamo a stento figurarci un mondo senza spazio né tempo ma non possiamo ancora spiegarlo. Per capire questa nuova dimensione avremmo bisogno di fare uno sforzo di semplificazione radicale e agghiacciante: tornare all'arcaico e scoprire non solo quello che abbiamo alle spalle ma anche ciò che abbiamo di fronte. Quindi proprio oggi che a governare tutti i processi è qualcosa di invisibile, cioè appunto la rete, dobbiamo riscoprire l'importanza di ciò che si vede. Il plastico è la nuova mappa che ci potrà guidare finalmente in un mondo in cui il sistema spazio-tempo è messo a dura prova. Bruno Plastico, come uno dei tanti Zelig moderni, deformabile, collocabile, inquinante e riciclabile, ricostruisce involontariamente la “decostruzione”, per il quale non esistono fatti ma solo interpretazioni. Tutto è nel plastico e nullo esiste fuori di esso: verità e mondo esterno risultano così concetti insostenibili. Ma senza un mondo fuori dalle nostre menti plastiche non ci sarebbe morale: reciprocamente, un'etica senza mondo è la migliore premessa per un mondo senza etica. Ci sarebbe invece qualcosa di inafferrabile nel paesaggio, quello escluso dal mondo plastico: è esterno agli occhi di chi guarda e nello stesso tempo comprende in sé l’osservatore. L’osservatore Bruno Plastico così si trasforma nel primo nemico: un mostro gigante del genere cinematografico catastrofico-fantascientifico: lucertolone, insetto gigante, mostro preistorico. Mostro sproporzionato che imperversa nella città, in un quartiere, nella strada sottostante. Dal fiato radioattivo emerge improvvisamente dagli abissi e si affaccia sulla baia di Avetrana (tra l’altro, possibile sito per la costruzione di una centrale nucleare) mentre, invano, cannoni, carri armati e aerei a reazione tentano di fronteggiarlo. Solo il dispositivo disintegratore telecomandato, presente in ogni casa, riuscirebbe a fermarlo. L’incubo mostruoso viene ancora dal mare magnum televisivo che avvolge l’isola plastica: l’enorme pescecane si

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bruno plasticoprende tutto il tempo per colpire, mentre il corpo di Sarah nuota senza vita nel pozzo delle mi(ni)serie. Bruno Plastico rallenterebbe i soccorsi anche di quegli uomini bloccati in miniera in Cile, pur di realizzare uno scoop. Come in L’asso nella manica di Billy Wilder. Il plastico è una trappola dell’indifferenza (a volte bidimensionale), pronto a cogliere lo strazio dell’umanità. Mai dal fondo di quel pozzo c’è allora di più: l’asso nella manica questa volta s’è girato (altro rigore a cucchiaio? Altra rivoluzione inavvertita?) e se lo giocano le persone qualunque coinvolte, dopo aver studiato Grande Fratello o Amici, cercando le telecamere come veri “anchor”, seminando pathos a buon mercato. Fuori dal plastico, abbiamo finalmente incontrato il solito e unico nemico: siamo noi.

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