EDITORIALE – Golden Facebook

golden facebookCon i quattro Golden Globe vinti la scorsa notte da The Social Network (Film, Regia, Sceneggiatura, Colonna sonora), Hollywood molto probabilmente si appresta a rendere omaggio a uno degli istant movie più importanti e “perfetti” degli ultimi anni. Un'operazione che per caratteristiche generazionali e artistiche suggella una simbiosi linguistica tra cinema e (certa) Tv, inestricabile e clamorosamente avanzata

 

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golden globeUno degli aspetti che da sempre rende la notte dei Golden Globe particolare e a suo modo unica, rispetto a quella dei più famosi e ambiti “cugini” Academy Awards, è la totale comunanza con cui Hollywood decide in una notte di spettacolo di mettere insieme cinema e televisione. Rispetto agli Oscar, che premiano tutte le categorie tecniche che compongono la realizzazione di un film (dalla musica alla fotografia, passando ovviamente ad attori, registi e produttori) i Globe tralasciano completamente le categorie tecniche (eccezion fatta per musiche e canzoni originali) per andare dritti al nocciolo della competizione: premiare i migliori prodotti in ambito cinematografico e televisivo, in una suddivisione che semmai riguarda formati (serie tv, miniserie, lungometraggi, ecc.) o i “generi” (il Dramma e la Commedia). In un tale criterio di strutturazione di candidature e categorie ne vien fuori il contesto paradossalmente più completo e artisticamente avanzato che la produzione audiovisiva contemporanea può offrire. Se dovessimo citare i titoli che quest’anno nelle varie sezioni sono entrati in competizione, vediamo opere del calibro di The Social Network, Black Swan, The Kids are Alright, Glee, Boardwalk Empire, The Pacific, Carlos, Inception. Titoli che volenti o nolenti hanno ricoperto un ruolo prioritario nella formulazione di un immaginario condiviso, spesso capace di mettere d’accordo critica e pubblico.  È probabile che quello che fino a 10 anni fa poteva sembrare un accostamento forzato e artisticamente sproporzionato, con tutto il largo vantaggio qualitativo che il cinema per anni ha goduto nei confronti dei prodotti realizzati per il piccolo schermo, oggi sia invece un elemento vincente e perfettamente dentro “al presente”. Questa considerazione non intende spingerci verso una sterile celebrazione o dichiarazione di preferenza dei Golden Globe nei confronti

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al pacinodegli Oscar, piuttosto risulta utile per radiografare definitivamente quanto cinema e televisione siano ormai due realtà non così lontane nei risultati artistici, ma anzi strettamente correlate e spesso interlacciate per modalità fruitive e rappresentative.

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Del resto Hollywood attinge sempre più spesso, sia nelle dinamiche drammaturgiche che in quelle produttive, dai migliori prodotti del mezzo televisivo. Il trionfo la scorsa notte di The Social Network (quattro Golden Globe: Film, Regia, Sceneggiatura, Colonna sonora) sta a dimostrarlo. Impeccabilmente scritto da Aaron Sorkin (commediografo, sceneggiatore ma, soprattutto, creatore di importanti serie televisive del calibro di Sports Night e West Wing) il film di David Fincher per tempi narrativi, proliferazione di dialoghi, recitazione attoriale ed economizzazione dei set (inteso nè come low budget, nè come antispettacolarità) riprende a più riprese la velocità di esecuzione e riproduzione dei serial televisivi americani, in particolare di quei teen drama che hanno contribuito a costruire nell’ultimo decennio un’identificazione generazionale verso un’iconografia giovanilistica e alternativa che il recente cinema mainstream non sempre ha saputo (o voluto) raccontare. Il film di Fincher è probabilmente la summa lussuosa, e certamente hollywoodiana nel suo perfezionismo equilibrato, di un processo seriale e tematico che negli ultimi anni s’è alimentato attraverso disparati contenitori (tv, internet, videogame, reality show).  The Social Network per come racconta l’ “astratta” questione Zuckerberg-Facebook è, da questo punto di vista, il film ideale per essere premiato ai Golden Globe in una cerimonia in cui Al Pacino vince come miglior attore in una serie tv drammatica – You don't Know Jack – diretta da Barry Levinson (Good Morning Vietnam, Rain Man, Sesso e potere) e l' "autore" Assayas si aggiudica a sopresa il premio per social networkCarlos come miglior miniserie. Già il trionfo hollywoodiano dello scorso anno di The Hurt Locker (che ai Globe venne sconfitto da Avatar, per poi aggiudicarsi sei Academy Awards) lasciava presagire un’apertura verso una concezione seriale della scrittura stessa (“Funziona come una miniserie concentrata in due ore, The Hurt Locker. 7-8 episodi autoconclusivi” scriveva il nostro Sozzo lo scorso anno a proposito del film della Bigelow), che gli stessi blockbuster intellettualoidi di Christopher Nolan nelle loro micro-progressioni a puntate e/o livelli non paiono rinnegare. In questo panorama eterogeneo e sempre meno classificatorio influenze e rapporti di forza tra i due mezzi possono intercambiarsi, in una sorta di moto perpetuo all'interno del quale dalla tv che ha vampirizzato il cinema passiamo a un cinema che, forse soprattutto drammaturgicamente, ripercorre suggestioni e territori già sperimentati nei formati televisivi. Come fosse una grande famiglia di amici. Come fosse Facebook.

David Fincher, Golden Globe per la Miglior Regia

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