OSCAR 2012 – Artist(oidi)


La sensazione è comunque quella di aver assistito a una notte al museo del cinema, dove l'atmosfera sembrava essere pervasa dall'ossessione per la memoria, la storia e un ritorno alle origini del linguaggio. Indizi di una politica autoconservativa.

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Era dal Festival di Cannes dello scorso anno, dove riuscì ad aggiudicarsi "solo" un premio alla interpretazione maschile, che gran parte dei critici americani indicavano The Artist come il favorito numero uno per la corsa all'Oscar. E gli otto-nove mesi che sono succeduti alla kermesse francese non hanno fatto altro che confermare il trionfo del film muto in bianconero diretto da Michel Hazanavicius, che dal canto suo in una notte è riuscito a battere senza troppa fatica mezza New Hollywood. Tra gli "sconfitti" Malick, Scorsese, Spielberg e Woody Allen, solo quest'ultimo ha avuto la soddisfazione di un riconoscimento personale: l'Oscar alla Sceneggiatura per Midnight in Paris (il quarto per il regista americano), non è stato ritirato nella più classica tradizione alleniana. Come era nelle previsioni, suggerite da tutta una serie di premi preparatori (Golden Globe, DGA Awards, SAG, BAFTA ecc.) che ormai rischiano di lasciare un margine di incertezza sempre minore nell'annuncio dei vincitori, The Artist trionfa mettendo il sigillo alla tendenza nostalgica, quasi revisionista, che ha accomunato molti dei lungometraggi candidati. Poche soprese quindi e la conferma di una autocelebrazione che Hollywood si era imposta sin dalle nomination annunciate il mese scorso. L'elegante furbizia del

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Meryl Streep, Jean Dujardinfilm di Hazanavicius ha così raccolto i riconoscimenti maggiori come Film, Regia e Attore protagonista, a cui sono da aggiungere il premio ai Costumi e alla Colonna sonora. Una vittoria che sancisce il trionfo della confezione filologica e della politica imprenditoriale del produttore Harvey Weinstein, ovvero colui che riuscì nell'edizione del 1998 a portare all'Oscar Shakespeare in Love a scapito del favoritissimo Salvate il soldato Ryan di Steven Spielberg. Se ce fosse stato bisogno, l'edizione di quest'anno ha detto una volta ancora come l'uomo della Miramax, al quale va attribuito probabilmente anche il premio un po' a sorpresa a Meryl Streep, sia ormai il padrone indiscusso della notte degli Oscar – e il trionfo del modesto Il discorso del re lo aveva ulteriormente evidenziato nella scorsa edizione. Le poche sorprese sono così affiorate in alcune scelte insolite. Tra queste l'inaspettato (e meritato) premio al montaggio per Millennium di David Fincher, il secondo consecutivo per Angus Wall e Kirk Baxter dopo quello ricevuto lo scorso anno per The Social Network, o il sacrosanto riconoscimento per A Separation di Asghar Farhadi, uno dei capolavori dell'anno. La sensazione è comunque quella di aver assistito a una notte al museo del cinema, dove l'atmosfera sembrava essere pervasa dall'ossessione per la memoria, la storia e un ritorno alle origini del linguaggio, nonchè per una forma di citazionismo che ha contagiato anche il premio al Miglior Film d'animazione, dove a spuntarla è stato il cinefilo Rango di Gore Verbinski. Indizi di una politica autoconservativa.

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    13 commenti

    • Ma che ha questo the artisti che ammalia tutti? Io mi sono addormentata….boh!

    • Michele Centini

      Straordinaria, spiazzante l'opera di Hazanavicius. Potrebbe sembrare un'operazione strana o controcorrente, quasi una provocazione (chi lo farebbe mai oggi un film muto?). Ecco, per riprendere quello che disse Alessandra De Luca su Ciak (che diede il Colpo di fulmine) credo che The Artist sia un'opera fortemente politica: all'epoca del più inutile 3D dai tempi del sonoro, l'arrivo di un film muto in b/n girato a basso budget è una boccata d'aria fresca, come dire, non ci vogliono tanti fronzoli per fare cinema, basta avere un'idea. Il merito di Hazanavicius è che è riuscito non rendere noioso un film simile, perché un'idea del genere (la star del muto che cade in rovina con l'avvento del sonoro) poteva essere esaudita in mezz'ora e non di più, invece Hazanavicius prende il tempo in funzione della scena moltiplicando le attese e inducendo l'emozione più dagli sguardi che dagli avvenimenti. Millennium di Fincher è fatto bene ma rischia la fred …

    • Sposa cadavere 88

      D'accordo con l'articolo questa è la celebrazione del funerale del cinema. Per fortuna ci sono registi e film che invece hanno il coraggio di andare oltre e non vivono questo lutto ma fanno cinema con le tecniche e gli stili di oggi. E a volte basta solo il cuore.

    • Sposa cadavere 88

      D'accordo con l'articolo questa è la celebrazione del funerale del cinema. Per fortuna ci sono registi e film che invece hanno il coraggio di andare oltre e non vivono questo lutto ma fanno cinema con le tecniche e gli stili di oggi. E a volte basta solo il cuore.

    • Michele Centini

      Per me il funerale del cinema fu INLAND EMPIRE di Lynch. Il ricordo dell'EGO spropositato del grande cineasta-brand che, finite le storie da raccontare, trasformò il cinema in videoarte e gli spettatori in fan sfegatati incapaci di distinguere l'arroganza dall'onestà. Ma se lo ricordano i fan di Lynch che i suoi primi film erano molto più narrativi? Allora cosa è successo? E' successo che Lynch ha rifatto se stesso, ha brandizzato la sua forma cinema, facendo non più cinema per tutti, per le masse come faceva prima, ma per una elitè. Come dire: non ho più nulla da dire, ma il mio stile vale oro e quindi faccio film solo per chi mi capisce. The Artist è un connubio tra stile francese e storia hollywoodiana, ma ha quel tocco di leggerezza che il cinema dovrebbe avere, perché tutti i grandi film sono leggeri, sono commedie camuffate da drammi.

    • ma quando mai Lynch ha fatto cinema "per le masse"? …

    • The Artist non c'èntra proprio nulla col cinema francese, infatti è una produzione totalmente girata a Los Angeles. Gli manca infatti l'anima e la profondità emotiva del cinema francese, resta solo la vacua superfie di una nostalgia per un'epoca che da tanto tampo non c'è più. Ma la vecchia Hollywood e i vecchi (culturalmente) critici italiani hanno apprezzato. pompe funebri dell'immaginario, ancorati a un'idea di cinema del secolo scorso.

    • andiamo, the artist è fuffa furba e annacquata, che non evoca nemmeno per sbaglio la sia pur minima emozione. praticamente letame, altro che cinema.

    • Michele Centini

      All'inizio della carriera Lynch girò The Elephant Man (ricevette diverse nomination agli Oscar) e tentò la grande produzione sci/fi con De Laurentiis, con Dune, purtroppo per lui gli andò male. E poi Blue Velvet e Wild at Heart erano sostanzialmente i film di un "sociopatico" che tentava di fare un cinema che parlasse alla massa, poi magari la massa non li capiva, ma quello era ancora un cinema che si poteva considerare narrativo. Con INLAND EMPIRE, invece, Lynch si rivolge solo ed esclusivamente a se stesso.Comunque, se uno si deve ridurre a leggere i commenti/cavolate che gli utenti scrivono sui siti, allora veramente io do' ragione ai piduisti del Corriere della sera, che dicono che il web un'accozzaglia di cose inutili. Se voi riempite questo spazio con le vostre fesserie, date ragione a questa gente. Ricordo una cosa però: nel 2006 fu sul sito "cinefile.biz" che diedero "medra d'artista proprio ad INALND EMPIRE. Quindi il letame penso lo fa …

    • Martina 8 e mezzo

      Ma perchè questo @michelecentini parla di Lynch in un articolo sugli Oscar? E che c'entra la p2 con i commenti? Sono confusa. Certo dire che il solo cinema possibile è quello "narrativo" (e sul concetto di narrazione ci sono studi e studi) è grave assai. con un colpo viene ucciso tutto il cinema sperimentale, dalle avanguardie anni venti alla pop art fino ad oggi. Che fesserie!

    • bix o vattelapesca

      Prima di elephant man, lynch girò eraserhead, è bene ricordarlo, un film che ebbe una gestazione di diversi anni, e ancor prima i suoi famosi corti alphabet, the grandmother.. non credo si possa fare una lettura di un'opera partendo dalle presunte intenzioni del regista o pittore che sia (non solo almeno). questo film è per il pubblico, con questo invece parlo a me stesso (scorsese fintoingenuo lo fece per anni pubblicamente). è vero che inland sembra portare a una sfine da buconero il cinema tutto (ma poi godard non finisce e ricomincia a ogni inquadratura scena intermezzo musicale che sia? sublime quello di annakarina e belmondo in Il bandito delle ore undici, quando lei canta 'ma ligne de chance'; e godard forse andrebbe tutto visto a pezzi, oltre che rivisto diverse volte per intero, ma il pezzo rivela all'istante la classicità quasi fordiana che l'insieme dissimula nella musicalità continua), fine che non può che vedere e prevedere e già toccare(1)

    • bix o vattelapesca

      (2)il suo riinizio, culminante p.es. nell'ambiguamente semplice Interview project per mesi andato 'in onda' sul sito del regista, documentario in giro per gli states a veder il cinema 'dappertutto', il cinema di lynch che si rivede e riverbera nelle facce delle persone intervistate, nelle verande, nelle soglie (dove spesso o sempre si situa, fermandosi, se ben ricordo) di case di campagna, senza nessuna 'stranezza' e 'ego' che non siano le stranezze e gli agheschi eghi rinvenibili (tramite la famosa radioscopìa detta cinema) nelle pieghe varie, visibili e non, della cosiddetta realtà (che poi questa collimi con lynch sembra fatale o naturale). però merda d'artista è sempre un bel premio, non lo sottovaluterei, omaggio che sa non di letame ma di aura miracolosa (o almeno di merd'aura).

    • @Michele Centini, ma chi/che è 'sta massa? Sei tu la massa che non ha capito Inland Empire (ammesso che si possa parlare di 'comprensione' per il cinema)? Riguardo a The Artist, non l'ho visto, ma sapere che ha fatto "colpo di fulmine" su Ciak, a mio avviso rivista di regime, è abbastanza eloquente (nonché coerente con la visione di questo articolo) e tanto basterebbe…