CANNES 57 – "Le conseguenze dell'amore", di Paolo Sorrentino (Concorso)

L'opera di Sorrentino appare chiusa in una scrittura che gli impedisce di respirare, nella necessità di spacciare e di imporre un talento comunque innegabile che lo porta a realizzare un film tutto di testa ma non di cuore

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L'uomo in meno. Appare esserci un'esigenza continua di sottrazione in Le conseguenze dell'amore, secondo lungometraggio del napoletano Paolo Sorrentino che si era sorprendentemente rivelato a Venezia nel 2001 con L'uomo in più. Una sottrazione che investe la posizione dei corpi in uno spazio che sembra inghiottirli, dalle inquadrature del corridoio lungo bianco che apre il film alle immagini degli interni (la stanza di Titta con il televisore che nasconde qualcosa, il direttore di banca con i suoi impiegati che contano il denaro). Ma in questo processo di sottrazione visiva – in cui nell'utilizzo delle tonalità neutre e nella creazione di uno spazio quasi soffocato si avverte il prezioso contributo di Luca Bigazzi – si aggiunge anche quello di sottrazione verbale. Contano i gesti, gli sguardi, più che le parole. Soltanto la voce fuori-campo del protagonista, Titta Di Girolamo (Toni Servillo) lascia progressivamente entrare all'interno della sua esistenza. Si viene così a scoprire che l'uomo, originario del Sud, vive in un'albergo in Svizzera e trascorre le sue quasi allo stesso modo. È lì da 8 anni e apparentemente non lavora, non parla con nessuno e non si concede  nessuna mondanità. Il suo legame con l'esterno è solo una valigia piena di soldi. In realtà Titta era il contabile di Cosa Nostra ed è stato confinato lì in seguito ad un ammanco di denaro. Servillo occupa le inquadrature con il suo volto imperturbabile, con la noia addosso. Sorrentino lo segue, lo sezione come un'esperimento scientifico esistenziale, mostrando gli altri personaggi (la ragazza che lavora al bar dell'hotel, il fratello, la coppia di anziani in dissesto economico) come proiezioni di una sua stanca soggettività. Se L'uomo in più erano presenti continue e vibranti aperture verso l'esterno, in Le conseguenze dell'amore avviene il contrario. Il film di Sorrentino appare invece chiuso in una scrittura che gli impedisce di respirare, nella necessità di spacciare e di imporre un talento comunque innegabile che però rischia di sballare quanto a una visività che vuole quasi far vedere l'alienazione si affianca uno stile da videoclip nella scena in cui Titta va in giro per i negozi. Le conseguenze dell'amore alla fine risulta essere così un film tutto di testa ma non di cuore, impassibile nelle immagini che non scuotono. La strada di Sorrentino appare quella seguita da un altro interessante ma estremamente discontinuo cineasta partenopeo come Stefano Incerti. Le conseguenze dell'amore non appare così lontano, come disegno progettuale, a La vita come viene in cui le inquadrature sembrano composte di corpi, colori e una colonna sonora troppo presente. Forse questa è la strada di un cinema che si sradica dalle proprie radici per diventare altro. Più indefinibile e, rispetto a ciò che Sorrentino aveva fatto vedere con la sua opera d'esordio, più incomprensibile.

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