SPECIALE "La casa dei mille corpi" – Un rock che non cambia la vita

C'è forse tanto amore per il genere horror, ma poca radicalità negli effetti di una messinscena che sterza facilmente (e superficialmente) verso il baracconesco. "La casa dei mille corpi" incide e assorda come la musica rock a cui si accompagna, ma il martellamento visivo non ha sempre i tempi e le cadenze migliori.

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Ecco un film destinato a dividere, a irritare, a mettere in corto-circuito i critici e gli spettatori piu' smaliziati. Anche chi scrive confessa di essere rimasto in parte perplesso, per quanto il lavoro del fantomatico regista Rob Zombie, complessivamente, vanti innegabili elementi di interesse. La casa dei mille corpi parte bene. L'uso della camera a mano nelle prime sequenze restituisce un senso di inquietudine tanto vicina al cinema degli anni Settanta a cui si fa costante riferimento lungo tutta la durata, mentre la stazione di servizio-museo degli orrori da cui il film prende le mosse è presentata con piglio fermo, aggressivo. I toni grotteschi hanno un qualcosa di davvero spaventoso e disturbante. Il film diretto da Rob Zombie ci immerge subito nelle atmosfere losche e spaventose del cinema di genere, e i toni da parodia dell'horror con casa maeledetta non rimangono freddi, lontani: per buona parte della durata il film conserva gli umori di un ambiente marcio, tanto che non sembra di essere spettatori del solito horror convenzionale destinato a procedere in un crescendo di siparietti prevedibili. Tra un'eccedenza di convenzioni messe alla berlina (tutti gli individui del fantomatico paese in cui è ambientato il film guardano alla tv i vecchi telefilm con gli Addams o classici dell'horror), e una sacrosanta immersione senza via di fuga in un gioco al massacro dai furori sadiani, La casa dei mille corpi non è mai dalla parte delle vittime. Ecco un film senza protagonisti a lunga durata (uno di loro somiglia vagamente a Quentin Tarantino, sarà un caso?). Tutti subiscono la furia carnefice di una famiglia di freaks che ci riporta alla casa di Non aprite quella porta, il cui regista Tobe Hooper è forse il principale ispiratore della pellicola, tra toni di una farsa che si rifiuta di strappare la risata facile ma preferisce ridere malignamente degli spettatori e dei loro pregiudizi. Di questo film, francamente, chi scrive non ha apprezzato fino in fondo gli esiti. Non si dica, per carità, l'equilibrio espressivo, perchè Rob Zombie ci farebbe subito mangiare da uno dei suoi carnefici. Però l'inizio aggressivo non mantiene tutte le promesse. Al regista non interessava tanto creare un universo di tensione, ma un luogo in cui regna la brutalità meno mascherata, la cattiveria pura addirittura politicamente sbeffeggiata dal biondo carnefice che dice di essere irritato per i lamenti delle giovani vittime "borghesucce" di cui si appresta a fare scempio. Una brutalità indagata dall'interno delle viscere del genere, ma senza una presa di distanza che permetta di capire meglio le perversioni (del sistema come delle sue vittime). Il film si risolve così in una tetra mascherata dal sapore un po' facile, in cui a volte il desiderio di sollecitare il male può evocare il senso di una scommessa con il lato oscuro di se stessi, un invito a conoscere anche i propri bassi istinti. Ma niente di più. La composizione attoriale di questa famiglia malata ci sembra il punto di forza di un film altrimenti esasperato nell'esibizione di un gusto per la contaminazione non filtrato da un progetto di cinema completamente controllato. E' buona l'idea di mostrare le immagini del presente affiancandole con inserti del passato, impressionati dalla memoria di una vecchia pellicola in bianco e nero. Si amplifica così la sensazione di un film immerso nella confusione percettiva che sembra regnare quando ci si ponga di fronte a terreni di indagine così sconcertante: una casa degli orrori che nasconde delitti rimasti impuniti. Ma questo discorso non è realmente affrontato dal film, che forse preferisce restare piuttosto sconclusionato, in pieno gusto con il gore e con l'illogicità di tante situazioni illogicamente vere. Forse non è neppure del tutto sensato pretendere che regni una maggiore costruzione del racconto laddove la sensazione di primordiale efferatezza è contenuta nei termini di una rappresentazione che strizza l'occhio alla sconnessione di tutte le regole a cui l'horror fa riferimento. Ma non riusciamo ad apprezzare fino in fondo un film che promette di essere algido, concentrazionario, mentre si perde poi in rivoli di contaminazione non eccelsa, finendo per sembrare un giochetto malevolo e astratto. C'è forse tanto amore per il genere horror, ma poca radicalità negli effetti di una messinscena che sterza facilmente (e superficialmente) verso il baracconesco. La casa dei mille corpi incide e assorda come la musica rock a cui si accompagna, ma il martellamento visivo non ha sempre i tempi e le cadenze migliori.

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