VENEZIA 61 – "Birth" di Jonathan Glazer (Concorso)

C'è una smisurata ambizione in Jonathan Glazer in un film fatto di vuoti, di silenzi, giocato però solo su un'idea narrativa che però il cineasta non rende mai attraente non decidendo mai quale registro scegliere e riducendo al minimo la sorpresa nel volto sempre bloccato nella Kidman

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Ciò che sembra caratterizzare alcuni film di questa mostra è il ritorno dei defunti sulla terra. Oltre all'infelice Les revenants di Campillo presentato nella sezione Orizzonti e Ovunque sei di Michele Placido, oltre al finale di Shijie di Jia Zhangke, anche in Birth c'è un corpo che si reincarna in un bambino di 10 anni. La protagonista Anna – incarnata da una sempre più gelida Nicole Kidman – è rimasta vedova di Sean e sta per sposare Joseph. Un giorno però si presenta un bambino che dice di chiamarsi Sean e cerca di convincere Anna a evitare le nozze. Non solo. Col tempo rivela alcuni dettagli decisivi della vita trascorsa insieme da Anna e Sean tanto che alla fine la donna si convince. Dietro però c'è un inganno.

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C'è una smisurata ambizione in Jonathan Glazer, già autore di spot pubblicitari e video musicali per Radiohead e Massive Attack oltre ad aver esordito dietro la macchina da presa con Sexy Beast, in un film fatto di vuoti, di silenzi, giocato però solo su un'idea narrativa che però il cineasta non rende mai attraente. Si ha l'impressione di continui ritardi sui tempi in cui viene messo in atto l'inganno, di situazioni comiche solo provvisoriamente concretizzate – Sean, interpretato da Cameron Bright (lo stesso di About a Boy – che prende a calci la sedia di Joseph scatenando un putiferio o quando Sean viene sfottuto dalla madre di Anna (Lauren Bacall) definendolo una reincarnazione. È come se Glazer non decida mai quale registro scegliere, riducendo al minimo la sorpresa nel volto sempre bloccato nella Kidman quando comincia davvero a credere che dietro al corpo del ragazzino si nadconda davvero il defunto marito. Sospeso su tonalità grigie e spazi parzialmente innevati, alla fine Birth risulta un'opera che si prende troppo sul serio, che scivola tra commedia e dramma senza avere mai il coraggio, neanche minimo, di sconfinare nei territori, anche fugacemente intermittenti, del fantastico e dell'horror. La follia è congelata nella necessità di eseguire visivamente la fiacca sceneggiatura come un partitura musicale. Dove però i suoni alla fine non giungono. Anzi, risultano stonati.

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