Storm Children – Book One: Il nuovo documentario di Lav Diaz

Storm Children: Book One

L'ultima fatica del regista filippino farà parte del programma del Copenhagen International Documentary Film Festival (CPH: DOX), che si svolgerà a novembre.

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Storm Children: Book One

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Storm Children - Book OneInstancabile come suo solito, il regista filippino Lav Diaz, recente vincitore del Pardo d'oro a Locarno per il suo ultimo lungometraggio From what is before, sforna nello stesso anno un documentario girato lungo le coste di una città devastata dagli alluvioni. Storm Children – Book One (Mga Anak ng Unos) appare stilisticamente coerente con la rigorosa filmografia del regista, attestandosi però sui soli 140 minuti ma, come suggerisce il titolo, al film ne seguiranno presto altri. "Questa è solo la prima incursione" – scrive Diaz – "il Primo Libro, per così dire, per un ulteriore continuum nel mio processo filmico. Ci saranno altri libri". Il film, già presentato in Settembre al DMZ Docs in Korea, verrà ora presentato in Europa all'interno del Copenhagen International Documentary Film Festival (CPH: DOX), che si svolgerà a Novembre. L'unica incursione in ambito documentario era stata quella di Pagsisiyasat sa Gabing Ayaw Lumimot (An Investigation on the Night that Won’t Forget), dove in un unica ripresa di circa un'ora, lascia spazio alle parole di Erwin Romulo, miglior amico del regista e professore Alexis Tioseco, ucciso insieme alla sua ragazza nel suo appartamento di Quezon City, diventando quasi anch'egli un personaggio dell'infinito continuum della filmografia di Diaz. A proposito di Storm Children, il CPH scrive "C'è sempre stato un forte impulso verso la realtà nell'intera opera di Diaz, ma in Storm Children, quasi privo di dialogo, egli va fino in fondo. Il fatto che la sua caratteristica firma cinematografica – le lunghe e ipnotiche scene contemplative fotografate in bianco e nero – sia presente in ogni composizione e ogni istante, sottolinea l'urgenza Storm Children - Book Onedella sua visione e della sua importanza nel cinema internazionale dell'ultima decade". Secondo le parole di Diaz invece, il film nasce come un impulso, per poi strutturarsi coerentemente solo in seguito: "L'impeto per questo lavoro, all'inizio, era l'idea di tempesta nell'animo umano, e non solo nella psiche filippina. Ho iniziato a girare, non preoccupandomi di uno stile o una struttura. Negli ultimi nove mesi ho alloggiato e visitato nelle città e isole colpite dagli alluvioni. Stavo solo documentando ciò che avveniva, cercavo un filo conduttore, cercavo una storia, o la storia. Quando poi mi sono seduto a controllare il girato, mi sono trovato di fronte centinaia e centinaia di immagini che spaziavano dallo straziante al magnifico, dalla depressione alla speranza, dal terrore all'innocenza. Ho capito che dietro alla distruzione e alla disperazione, c'era anche l'immagine del bambino perduto. Perché sono loro, i bambini, le vittime più grandi".

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