"I giochi dei grandi" di John Curran

Tutto nell'opera assume le tinte concentrazionarie di un allegro gioco al massacro dove ogni elemento si ripete sempre uguale a se stesso, in coazioni a ripetere rese ancora più intollerabili da uno stile mellifluo e leccato che gira costantemente a vuoto, come un disco rotto.

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I giochi dei grandi è prima di ogni altra cosa un'opera malsana, maleodorante, incattivita. Ecco, forse è la parola giusta, incattivita. Già dalle prime sequenze (quella sfumata dai titoli di testa con i quattro protagonisti che si lasciano andare ad un ballo suadente) si avverte l'aria pestifera di un cinema che rinchiude i corpi e che toglie loro ossigeno, segregandoli in una messa in scena fasulla, viziata da una insopportabile letterarietà di fondo. Si parla troppo nel film e lo si fa male, come se ogni corpo si svuotasse rapidamente di ogni spinta vitale, vampirizzato da un'idea di cinema stantia, perfetta però per un certo tipo di pubblico snob (non è un caso che l'opera provenga dal Sundance) che gode nel vedere personaggi gettati allegramente al macello. E sì perché il testo del film, vera e proprio elemento accentratore attorno al quale tutto ruota, è davvero brutto, insulso, persino allarmante per come violenta sistematicamente i vissuti personali delle due coppie protagoniste, confezionando quadretti allergici ad ogni tipo di vita, ad ogni reale emozione. Tutto assume nel giro di poco le tinte concentrazionarie di un allegro gioco al massacro (l'immagine ripetuta del passaggio a livello, la corsa nei boschi dove poco prima si sono consumati gli amplessi tra i due amanti) dove ogni elemento si ripete sempre uguale a se stesso, in coazioni a ripetere rese ancora più intollerabili da uno stile mellifluo e leccato che gira costantemente a vuoto, come un disco rotto. Ma quello che più di ogni altra cosa non perdoniamo al regista e allo sceneggiatore Larry Gross (ma possibile che si tratti della stessa persona che ha scritto 48 ore, Strade di fuoco e quel capolavoro di Chinese Box, solo per citarne alcuni?) è la sbadataggine con cui guardano il mondo, la trascuratezza con cui leggono la realtà, come se la famiglia, il rapporto di coppia, certi valori insomma, non fossero roba per loro, non li appartenessero. Tutto è superficiale e al tempo stesso contorto (basti pensare al trattamento ricevuto dal personaggio interpretato da Laura Dern), e tutto è pericolosamente neutro, asettico, asperso per bene e ripulito nelle acque di una mentalità ottusa. Non c'è dolore in quest'universo di cadaveri, perché non c'è mai stata vita.

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Titolo originale: We don't live here anymore


Regia: John Curran


Interpreti: Mark Ruffalo, Naomi Watts, Peter Krause, Laura Dern, Sam Charles, Haili Page, Jennifer Bishop, Jennifer Mawhinney, Amber Rothwell


Distribuzione: Bim


Durata: 105'

Origine: Canada/Usa

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