La "fisica" della Storia: "Le crociate – Kingdom of Heaven", di Ridley Scott

Per raccontare la Storia bisogna catturarne l'essenza, è necessario spostare l'occhio della m.d.p. dentro le viscere dei protagonisti, per poi lasciarla esplodere lentamente in un unico gesto epico e liberatorio. Mostra lo scontro, materializza il desiderio e avrai l'essenza del mondo: è questo il gesto "sacro" e "simbolico" del cinema di Ridley Scott

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Il gesto, la massa e il furore. Ecco i meridiani ed i paralleli che orientano l'avventura cinematografica di Ridley Scott. Geografie e spazi sincronici che spesso amano sprofondare in diacronie lontane o paesaggi futuristici, per poi tornare a disegnare sempre le stesse traiettorie, le medesime parabole aggrovigliate lungo gesti epici e corpi furenti, masse senza nome ed eterni duelli. Poco importa allora che questa volta il regista inglese decida di calarsi fra le battaglie e gli intrighi a cavallo tra la seconda e la terza grande crociata in Terra Santa, seguendo le orme del maniscalco/barone Balian (Orlando Bloom), della principessa Sibilla (Eva Green) e di due eserciti pronti a darsi battaglia per la conquista di una città che ancora oggi segna uno spartiacque fra Occidente e Oriente. Poco importa perché questa inedita cornice storica serve solo ad iniettare sangue fresco in corpi in continua metamorfosi e costante desiderio di scontro/incontro riproponendo tutta la potenza visiva e simbolica, dunque politica, del cinema di Ridley Scott.

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Ecco allora un altro duello cinematografico che inizia con un gesto, un rito, quella liturgia di simboli e atti che la macchina da presa di Scott sa materializzare come nessuna altra. Kingdom of Heaven mostra subito la sua estetica liturgica, una sacralità dell'immagine magnificamente affrescata da un montaggio ritmato e sincopato (questa volta in fase di editing non c'è il fidato Pietro Scalia ma il bravissimo Dody Dorn), prima rallentato e poi improvvisamente accelerato ma sempre pronto a colpire la retina dello spettatore "alternando" una spada che sfiora una spalla, una solenne investitura, ad una croce strappata da un collo morente. Pochissimi autori – forse oggi solo John Milius e Walter Hill… – conoscono visivamente la "violenza del sacro" che attraversa queste inquadrature, una "mistica" cinematografica che mescola elementi pittorici e derive postmoderne. Basta un'occhiata a questi gesti, a questi duelli senza tempo per sentire un brivido sulla pelle, un tuffo al cuore suscitato solo da un movimento di macchina, dall'angolazione scelta per incorniciare una mano, una levata di scudi o un arco pronto a tendersi.

Tutte tessere di un mosaico che compongono il ritratto perfetto di un eroe epico, di una figura mitica che però si lascia continuamente contaminare dalla massa; un io sempre in conflitto con l'altro senza volto, con un "alien" pronto a sbucare dai confini di ogni inquadratura per attaccare e fagocitare pezzi di carne umana. E la seconda parte di Kingdom of Heaven regala una grande cerimonia visiva di masse in movimento, quasi un quadro dove ogni individuo cerca uno spazio da occupare e difendere, una nicchia sicura dove proteggersi dalle incursioni o dal semplice contatto con l'altro, col diverso. Perché i corpi "eroici" di Scott proprio non ce la fanno a convivere su un unico set, non c'è spazio abbastanza nel reticolo dell'occhio per ospitare tutti questi desideri che ardono e fremono incrociandosi continuamente. Corpi furiosi (come quelli dei marines in Black Hawk Down o dei conquistadores spagnoli in 1492), corpi cannibali (Alien o Hannibal, autentico emblema dell'opera scottiana), corpi in disgregazione (il re Baldovino in Kingdom of Heaven o gli androidi in Blade Runner…); e ancora corpi "organismo" (le protagoniste di Thelma&Louise o l'impossibile ciurma de L'albatros) o corpi predatori (ancora Blade Runner, Alien, Hannibal, Il Gladiatore): sono questi i soggetti preferiti di un autore che continua a costruire un cinema dove ogni lettura politica diviene sottile questione di "fisica". Si deve combattere per non essere fagocitati, ci si deve scontrare perché il duello mostra la contraddizione, e dunque svela la natura profonda di ogni cosa. Il tutto e la parte, la massa e il singolo, l'amico e il nemico, l'amore e l'odio: vive di queste coppie tanto semplici quanto impossibili la poetica primordiale e modernissima di Ridley Scott (non postmoderna per carità, solo moderna in quanto segnata da una prospettiva potente in grado di decodificare l'attuale e il presente…), quello sguardo unico che illumina ogni racconto del nostro mondo. Lontanissimo dalle pallide e fredde incursioni storiche di Kubrick o dalle didascaliche ed inutili peregrinazioni di Oliver Stone, Scott sa benissimo che per raccontare la Storia bisogna catturarne l'essenza; è necessario spostare l'occhio della macchina da presa dentro le viscere dei protagonisti, per poi lasciarla esplodere lentamente in un unico gesto epico e liberatorio. Mostra lo scontro, materializza il desiderio – sembrano urlare queste inquadrature – e avrai l'essenza del mondo: è questo il gesto "sacro" e "simbolico"  del cinema di Ridley Scott, la potenza di uno sguardo capace di sciogliere la Storia al calore di un atto di furioso amore.


 


 


Titolo originale: Kingdom of Heaven


Regia: Ridley Scott


Interpreti: Orlando Bloom, Eva Green, Edward Norton, Liam Neeson, Jeremy Irons


Distribuzione: Medusa


Origine: Usa/Spagna 2005


Durata: 145 min.       

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