"Hotel", di Jessica Hausner

Dentro “Hotel” regnano aree di serpeggiante inquietudine (ci verrebbe da dire a metà strada tra il Polansky di “Repulsion” e il Lynch di “Strade Perdute”) che mettono alle strette i nervi, scuotendo mente e, perché no, stomaco

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C'è una dimensione oscura che cresce in Hotel, una massa informe e misteriosa che inghiotte la luce e che annebbia lo sguardo. E' chiaro già dalle prime sequenze: la luce proiettata sui corpi/volti (quello della giovane protagonista, quello del suo datore di lavoro che le illustra il lavoro da fare) e una zona d'ombra che attende in silenzio di essere scoperta. Hotel parte in silenzio, finisce con un urlo disumano avvolto dal fuoricampo, quello che transita nel mezzo resta un mistero. C'è un albergo circondato da un bosco inquietante, frasi appena sussurrate, una piscina deserta, e poi le esitazioni della protagonista che rappresenta un vero e proprio corpo estraneo. Non si ambienta nel lavoro, parla poco, fa amicizia con uno strano ragazzo conosciuto in una discoteca, si innamora di lui forse, o forse no. Alla regista non interessa minimamente lo spessore umano dei corpi in gioco, quello che conta è trasformarli rapidamente in strutture mentali, alambicchi cerebrali, figurine di cartapesta. Non conta il corpo, ma ciò a cui rimanda, dunque il nero più assoluto. Ragion per cui un cinema di questo tipo non dovrebbe interessarci minimamente. In teoria però. E già perché, a dispetto delle apparenze e di uno stile a volte sin troppo compiaciuto e pedante nel ripetere le cose almeno due, tre volte, la regista sa avvolgere i sensi, catturandoci in uno strano vortice di perdita. Non è facile spiegare il perché, avremmo forse bisogno di qualche erudizione di psicoanalisi, ma tant'è, credevamo di liquidare Hotel in poco, mentre invece eccolo qui a reclamare un'analisi, perlomeno una spiegazione. Che puntualmente però non possiamo dare per un motivo molto semplice. Hotel con tutti i difetti di cui sopra riesce ad inquietare, sì insomma a cacciarti in un abisso denso e oscuro in cui ci si sente a disagio. Vengono i brividi soltanto a vederle quelle mani della protagonista che, prima di tuffarsi in piscina, appoggia gli occhiali sulla mensola dello spogliatoio, oppure quando apre una delle tante porte dell'albergo, e dentro vi trova..il nulla, sì, o magari lo spettro danzante del bosco e poi qualche sagoma umana in lontananza, sempre più sfocata, sempre più estranea.. Verrebbe da pensare alla furbizia tutta programmatica con cui la regista ha confezionato il tutto e forse, almeno in parte, è così, ma sentiamo che non basta. La verità è che dentro Hotel regnano aree di serpeggiante inquietudine (ci verrebbe da dire a metà strada tra il Polansky di Repulsion e il Lynch di Strade Perdute) che mettono alle strette i nervi, scuotendo mente e, perché no, stomaco. Nel momento in cui allenti la presa e distendi l'occhio, ti accorgi che quelle immagini che sembravano vuote sono piene e che quei suoni mai proferiti da voce umana si sono trasformati in sibili di morte. Dentro e fuori, visibili e invisbiili…

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Titolo originale: Id.


Regia: Jessica Hausner


Interpreti: Franziska Weiss, Birgit Minichmayr, Marlene Streeruwitz, Rosa Waissnix, Christopher Scharf


Distribuzione: Enrico Pinocchi Production Distribuzione


Durata: 88'


Origine: Austria/Germania, 2004

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