"Mambo italiano", di Emile Gaudreault

Sulla falsariga de "Il mio grosso grasso matrimonio greco", cui "Mambo italiano" è stato non a torto accostato, ma anche di quel becero cinema inglese alla "East is east", incontriamo sempre più spesso operazioni di regia automatica e inerte, motori di equivoci grassocci dal retrogusto razzista conditi da tarantelle, mambi o sirtaki.

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"Non c'è destino peggiore che essere gay e italiano". E' uno dei tanti assiomi in libera uscita dalla mente o dalla gola di Angelo Barberini, giovane gay sfigato dai tempi della scuola, cui lo spettatore dovrebbe per forza di cose affezionarsi per proteggerlo da un mondo cinico e retrogrado. Lui così sensibile, pensate un po', sempre così consapevole delle sue mosse e sempre acuto osservatore dell'ambiente italiano di immigrati dove è cresciuto ballando il mambo con la zia Iolanda, pensate un po', appassionandosi alle soap, pensate un po'. Sempre nella convinzione che un giorno il suo sogno possa avverarsi: diventare autore televisivo. Pensate un po'. E' la coscienza incarnata di mr. Steve Galluccio, co-sceneggiatore nonché autore della commedia teatrale di successo da cui il film deriva non solo nella lettera ma anche nella sostanza, nelle movenze, nelle scene salottiere senza sipario dove si innescano i drammi familiari, negli esterni girati che dovrebbero fare molto antiteatrale, nelle fisicità di personaggi che, pur non scadendo nel macchiettiamo, sembrano esistere solo nei racconti che un Angelo disperato snocciola alla Gayline telefonica. Ma il politically correct alla fine trionfa sempre e lo spettatore alla fine rischia di uscire soddisfatto dalla sala, intrappolato dall'impossibilità di contrastare il bilancino sociologico (il poliziotto gay integrato e macho, l'artista che fa outing, le famiglie attaccate a fraintese tradizioni del paese d'origine) o il presunto messaggio progressista nel finale. Quale poi? Pare che le prossime presidenziali americane possano essere decise per un nonnulla chiamato referendum costituzionale sulle unioni tra persone dello stesso sesso. Qui siamo indietro anni luce, allo stereotipo mammista più consunto. Stereotipo su cui però gli autori giocano apertamente con scaltrezza. Così, visto che per una volta gli immigrati italiani non si associano a mandolino, pizza e mitra, si potranno perdonare eventuali banalizzazioni sul conservatorismo culturale della "famiglia", che viene sapientemente scardinato dalle scelte rivoluzionarie di Angelo, uno che la sa lunga sugli italiani del Quebec.

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Un tempo molti co-produttori per fare un film che unisse più culture nazionali si accontentavano di riunire nello stesso cast divi di questo o quel paese ed esigevano nello script uno spostamento da questo a quel paese. Oggi, sulla falsariga de Il mio grosso grasso matrimonio greco, cui Mambo italiano è stato non a torto accostato, ma anche di quel becero cinema inglese alla East is east, dove la comunità etnica di turno è resa irrealmente aliena ed alienata, incontriamo sempre più spesso operazioni di regia automatica e inerte, motori di equivoci grassocci dal retrogusto razzista conditi da tarantelle, mambi o sirtaki. Pensate un po'.


Regia: Emile Gaudreault


Sceneggiatura: Steve Galluccio, Emile Gaudreault


Fotografia: Serge Ladouceur


Montaggio: Richard Comeau


Musiche: Fm Le Sieur


Scenografia: Patricia Christie


Costumi: Francesca Chamberland


Interpreti: Luke Kirby (Angelo Barberini), Ginette Reno (Maria Barberini), Paul Sorvino (Gino Barberini), Mary Walsh (Lina Paventi), Peter Miller (Nino Paventi), Claudia (Anna Barberini)


Produzione: Cinemaginaire Inc., Equinox Films


Distribuzione: Filmauro


Durata: 90'


Origine: Canada, 2003


 


 

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