"Il fantasma dell'Opera", di Joel Schumacher

L'esibizionismo sfrenato e sfacciato del regista non risparmia la "faccia della voce" del fantomatico Erik. Le variazioni dei maestri, che rifuggono da serializzazioni patinate e degenerazioni comandate, le scovi in altri sotterranei: vedi Fischer, Argento, Raimi.

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L'esibizionismo sfrenato e sfacciato del regista non risparmia la "faccia della voce" del fantomatico Erik. Appetiti "gargantueschi", però mai invitanti, passionali, corposi, fagocitano il capolavoro assoluto di Gaston Leroux e non quello presunto di Andrew Lloyd Webber (Jesus Christ Superstar, Evita). Sì perché il film di Schumacher (Batman Forever, In linea con l'assassino, 8mm) vagamente s'ispira allo scrittore francese e quasi totalmente rumina il genere musical senza neanche riuscire in quella paradossale impresa di superare in parodia il supposto maestro. Il "divertente" e "ghezziano" doppiaggio (delle canzoni di Webber) poi sembra mimare il vuoto che si apre tra meraviglie scenografiche fatalmente straripanti esotismi impropri. Sonorizzare il "mostro" e scomodare Henry James, dove i fantasmi davvero non hanno un peso e sono proiezioni dei vivi, deformano l'unica geniale trasposizione di Rupert Julian del 1925. Con l'uomo dai mille volti, Lon Chaney, senza musica e senza voce, lo sguardo vertiginoso arde di violenza, cattura i passi più arditi, le grandi invenzioni visive e il lato più oscuro, l'atmosfera stregonesca, il senso dell'orrore più autentico, dell'amour fou, della fatalità. Incatenato al suo destino di reietto, il fantasma dell'opera, è un inquilino intimato allo sfratto immaginifico: autentico "revenant" del cinema. Lo smascheramento è compiuto senza penare più di tanto. Neanche il plagio interessa perché imitare è rischioso e soprattutto difficile. Rupert Julian piazza, per la prima volta, sia Christine sia il Erik rivolti verso la macchina da presa, lei alle sue spalle in modo da non vederlo; Erik si toglie la maschera e si volta; stacco ad una soggettiva di Christine; l'immagine sfuocata del Fantasma avanza verso di lei. Le parole (la voce) sfumano l'incanto, l'inesorabile e cauta circuizione, seduzione immortale dell'abbandono e del lento avvicinamento. Giocare con gli specchi, come Welles o come il più sbadato dei maghetti, caricare posticci rimescolamenti cromatici tra presente (malinconicamente grigio) e passato (plasticamente colorato), non muta il congegno armonicamente (s)concertante. L'Opera è soltanto uno sfondo, mai il luogo che crea l'azione, forma di alter ego del "dannato". Le variazioni dei "veri" maestri, che rifuggono da serializzazioni patinate e degenerazioni comandate, le scovi in altri sinistri sotterranei: vedi Darkman di Raimi, Fischer, Argento. Ma lo stesso Brian De Palma, con sorprendente visionarietà, aderisce allo spirito e soprattutto al celato humour (inesistente in Schumacher) di Leroux. De Palma gioca sul serio con il musical: esuberante ispirazione, magnetica rivisitazione rock(itsch), colorato di grottesco, del lato più faustiano e demoniaco. Il fantasma del 2004 è ragionevole, sentimentale e la ragazza canta plumbee arie "scritte apposta": l'orrore, la paura, l'avventura, l'affascinazione, tenebrosi miraggi dislocati su altre sponde.      

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Titolo originale: The Phantom of the Opera


Regia: Joel Schumacher


Interpreti: Emmy Rossum, Gerard Butler, Miranda Richardson, Patrick Wilson, Simon Callow, Ciaran Hinds,


Distribuzione: 01 Distribuzione


Durata: 130'


Origine: Gran Bretagna/USA, 2004

 

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