"Hotel Rwanda", di Terry George

Dovremmo restare incollati sulle poltrone per sempre. Almeno vigliaccamente saremmo consapevoli con gli occhi che non è finito proprio niente. Uno dei più grandi massacri della storia contemporanea nella terra di… nessuno che voglia fare più affari. La parte più difficile è l'identificazione, quando la tragedia è nera, troppo nera.

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------

Il genocidio continua. Non è finito. In Rwanda, piccolo stato africano, il 60% vive sotto la soglia di povertà, il 51% muore di AIDS e l'età media è quella di un nostro calciatore miliardario che è combattuto se lasciare o continuare a sgambettare. A proposito, in più, questo Paese (chi lo avrebbe mai detto), undici anni fa, è stato scenario di uno dei più grandi massacri che la storia ricordi nel secolo scorso. Quasi un milione di morti per affari di famiglia: l'etnia Hutu (in maggioranza) non ha mai accettato la convivenza con i Tutsi perché scelti dai belgi colonizzatori come sommi governanti per via del naso e del colore più dignitosamente occidentali. I fatti sono veri, com'è vero che i macheti provenissero dalla Cina a prezzi stracciati e com'è vero che un uomo in giacca e cravatta è stato "costretto" a salvare oltre mille persone. Quando il cinema si erge a documentare, la realtà può rivivere e paradossalmente "arricchirsi" anche se la mattanza è più che altro suggerita e non completamente mostrata. Ma quando il direttore dell'albergo più sciccoso di Kigali, Paul Rusesabagina (interpretato da Don Cheadle), una mattina, prova a fare il nodo alla cravatta, quell'intreccio all'improvviso lo trova ostile, incomprensibile. Lotte intestine, eredità occidentale: quelle "interiora" hanno ingerito solo lame, proiettili e sfamato carogne. "Una cosa del genere non dovrà ripetersi mai più", così disse il primo mondo allora e così è stato ripetuto ad Auschwitz sessanta anni dopo da Bush, Blair, Putin. Cattivi profeti: occultano il presente che noi altri non vediamo e dicono del presente quello che vorremmo ascoltare. La menzogna condivisa scende come sipario sulle guerre tra potenze smisurate e popoli di ombre che appaiono e compaiono quasi a comando. Ma questo film apparentemente ci lascia ancora di più colpevoli spettatori, perché il conflitto è troppo interno e perché in fondo l'hotel è un'isola felice, un luogo salvifico da bramare. Il non intervento armato è già politica degli interessi e i corpi ammassati per le strade lasciano un senso all'irrimediabile soggezione, all'insuperabile subalternità. Morti perché non potevano non essere morti. Si ammazza il vicino di casa quando la decolonizzazione fallisce non tenendo conto sia della "tradizione" indigena sia delle proprie idee dominanti. Terry George sembra che cerchi proprio lo sdoganamento, lo sconfinamento da ingombranti accordi produttivi, da retoriche enfatizzanti inutili, da spettacolarizzazioni chirurgiche (come le guerre attuali) e da mummificazioni mitologiche. Gli eroi non esistono se non consideriamo tali quelli di marmo o bronzo sul piedistallo, "eletti" dall'indifferenza e spodestati dalle bombe prima ancora che dalla storia. La parte più difficile è l'identificazione, l'immedesimazione, quando la tragedia è nera, troppo nera. Allora il regista ritrova un eroe che si è fatto uomo in Belgio e prova a farsi raccontare quel periodo buio, non massimizzando il suo sguardo sull'Apocalisse, ma sull'intimità violentata, sui sogni frantumati e sull'isolamento dei perseguitati. Hotel Rwanda è il luogo della reclusione per eccellenza: il lusso è una mistificazione, come l'acqua della piscina che dai rifugiati è bevuta. Il confinamento (per un attimo o per sempre)  tra/dai "clamori criminali" scongiura l'affievolimento immaginativo e impedisce al futuro di nascondersi. Cinema generatore di conoscenza prima ancora che alimentatore di coscienza ormai sempre più spettatrice. 

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

 


Titolo originale: id.


Regia: Terry George


Interpreti: Don Cheadle, Sophie Okonedo, Joaquin Phoenix, Nick Nolte, Desmon Dibe, David O'Hara, Cara Seymour


Distribuzione: Mikado


Durata: 110'


Origine: Sud Africa/Gran Bretagna/Italia, 2004


 

 

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative