FILM IN TV: "Kippur" di Amos Gitai
Se il cinema è, come diceva Samuel Fuller, un campo di battaglia, Kippur rappresenta, in questo momento, meglio di qualsiasi altro film quell'idea/pratica di lavoro, lotta, fatica, e la monotonia del set che si espande nelle immagini. Mercoledì 24 maggio ore 2:30 Canale 5.
Se il cinema è, come diceva Samuel Fuller, un campo di battaglia, Kippur rappresenta, in questo momento, meglio di qualsiasi altro film quell'idea/pratica di lavoro, lotta, fatica, e la monotonia del set che si espande nelle immagini, occupandole con precisa strategia. Il fuori campo entra in campo, si sovrappone a esso, lo mina togliendogli ogni abbellimento e orpello. Kippur è cinema nudo e crudo, nell'estasi della ripetizione di un gesto o un suono, o di entrambi insieme, traccia – letteralmente, con il movimento ossessivo e geometrico dei carri armati – linee inedite per il genere di guerra, è operazione teorica sull'attesa (così vicino soprattutto a Spiritual voices di Aleksandr Sokurov e La sottile linea rossa di Terrene Malick) di un'azione e di un nemico invisibili, è cinema che reinventa spazi e durate, come un'evelina alla quale è stata data una struttura, un procedere, un corpo.
L'israeliano Amos Gitai continua a essere apolide anche al ritorno nella sua terra d'origine. Lo confermano capolavori come Kadosh e Kippur (presentato in concorso al Festival di Cannes 2000), perlustrazioni di luoghi nel segno dell'ombra e della luce, e di una claustrofobia diffusa, determinata sia dagli ambienti chiusi (Kadosh) sia dagli esterni (Kippur).
Film che produce un'ipnotica e opaca vertigine (l'inquadratura con il soldato sull'elicottero con gli occhi chiusiaperti, nascosti dal taglio di luce, appoggiato al vetro sporco, doppiamente sospeso, in volo e in una sua dimensione interiore, è esemplare), Kippur penetra il set della guerra, più che la guerra stessa, insieme a un piccolo gruppo di militari mandati in missione e al massacro (il punto di partenza è autobiografico, ma si sfugge a ogni schematismo o semplificazione), corpi straziati che non appartengono più a nessuna guerra. C'è un magma melmoso che macchia corpi e spazi, che si insinua nei cromatismi lividi e nei suoni, che ha le forme del fango e della vernice dei colori, densità che si appiccicano ai corpi, alla terra, alle lenzuola impregnandoli – imprigionati inabissati sfiniti risorgenti – del senso più intimo del vivere e del morire.