FILM IN TV: "Non drammatizziamo… è solo questione di corna" di François Truffaut

Quarto capitolo del ciclo Doinel, "Domicile conjugal" è comunemente considerato un film minore nell'opera truffautiana. Ma, aldilà della parabola apparentemente conformistica, si cela una struggente nostalgia di una normalità impossibile, il sogno di un assoluto stretto nella precarietà degli affetti. Il 13/2 su Rete4 ore 2.40

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"Le gambe delle donne sono dei compassi che misurano il globo terrestre in tutte le direzioni, donandogli il suo equilibrio e la sua armonia". Così scrive nel suo libro Bertrand Morane, l'uomo che amava le donne, esplicitando uno dei motivi essenziali del cinema truffautiano. E questo quarto capitolo del "ciclo Doinel" (dopo I quattrocento colpi, Antoine e Colette e Baci rubati) si apre proprio su un paio di gambe, quelle di Christine che ribadisce a tutti il suo nuovo stato di famiglia "No, no… non signorina, signora!". Ecco, da quel paio di gambe siamo catapultati all'istante nell'universo di Truffaut. E qui, più che mai, il suo cinema risponde all'esigenza di aggrapparsi a punti di riferimento certi, a un sistema di segni riconosciuti o riconoscibili. Truffaut, in altri termini, prova a costruire un porto sicuro, una sorta di focolare domestico, a cui fa da contrappunto il cortile del condominio di Doniel e consorte.  Ri-creare una famiglia: un bisogno vitale tanto per Antoine ("io sono amante della famiglia…padre, madre… mi danno calore, non so se capisci") quanto per il regista. E l'unica risposta a questo bisogno non può che essere il cinema, nei rimandi continui ai film precedenti, agli autori amati e agli amici (Renoir, L'anno scorso a Marienbad di Resnais, John Ford, Tati, "Pronto casa Eustache? potrei parlare con Jean?"). Commette un errore clamoroso chi confonde (e accusa) la parabola matrimonio-tradimento-riconciliazione di Doinel con un appiattimento conformistico e piccolo borghese. E' vero che Doinel tende al conformismo, ma in realtà il suo è il sogno di normalità di chi è rimasto sempre al di fuori. Lo stesso sogno di Truffaut, del resto. Se non si comprende questo, non ci si può rendere conto del perché ai personaggi truffautiani non interessi contestare il sistema di valori dominante, come pretendeva l'intellighenzia anni '70. Semplicemente perché sono già di un altro mondo. Tutti sono eccezionali, sosteneva magnificamente la signora Tabard in Baci rubati (citata qui nell'imitazione dello "strangolatore" misterioso/Claude Véga). E in effetti nell'universo truffautiano tutti hanno le loro manie e particolarità, facendo intendere il tumulto di un vissuto interiore: il russo scroccone, il barista intellettuale, il cantante d'opera che getta il soprabito della moglie per le scale, la prostituta che "s'interessa di politica, perché la politica si interessa di lei". Ma per Doinel l'eccezionalità è normale. Letteralmente. Un eterno bambino, che gioca a fare il marito e il padre e mangia gli omogeneizzati con la moglie, vive il sogno esotico di una giapponese e rimane chiuso nel blocco affettivo di una maturità precoce e per questo incompleta. Stretto tra l'ansia di un assoluto ("Io odio tutto ciò che ha fine, che ha termine, che muore") e la condanna al provvisorio. Un conflitto esistenziale, di cui la riconciliazione con Christine del finale sembra far intendere la ricomposizione. Ma sappiamo che l'amore è già in fuga, che le cose, i sentimenti, le passioni stanno per scivolar via di nuovo… E Truffaut si prepara, ancora una volta, a combattere la sua battaglia con la morte. Come tutti noi.   

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Titolo originale: Domicile conjugal


Regia: François Truffaut


Interpreti: Jean-Pierre Léaud, Claude Jade, Daniel Ceccaldi, Hiroko Berghauer, Claude Véga


Origine: Francia 1970


Durata: 97'


 


Martedì 13 febbraio, Rete4, ore 2:40

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