Gioco d’amore, di Sam Raimi

Inevitabile vedere dietro alla parabola di Billy Chapel quella del redivivo Kevin Costner (che lo interpreta) e che proprio con questo film inaugurerà una sorta di seconda giovinezza

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Nel 1999 Sam Raimi aveva da poco cominciato una nuova, magnifica fase. Con il grande A simple plan (Soldi sporchi) dell’anno precedente si era avvicinato al nitore di forme del miglior cinema classico, dopo i fuochi d’artificio e le “urla stilistiche” che lo avevano contraddistinto dai lontani tempi de La casa (1981) fino al sospetto di manierismo di Pronti a morire (1995).

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Un classicismo problematico, certo. Mai banale, sempre ambiguo, di una “pulizia inquieta” e angosciante (come sarà poi per The Gift l’anno successivo). A questo riguardo, per Gioco d’amore fu fatto giustamente il nome (fra gli altri) di King Vidor. Un ritratto (come spesso in Vidor) di un individuo di eccezione condotto a furie di microfratture, di piccole tensioni elettriche tra i personaggi che l’equilibrio classico della messinscena non fa che ricomporre e riposizionare continuamente. Inevitabile vedere dietro alla parabola di Billy Chapel, ex grande giocatore di baseball che lotta per riconquistare la gloria sportiva e la visibilità perduta, quella del redivivo Kevin Costner (che lo interpreta) e che proprio con questo film inaugurerà una sorta di seconda giovinezza (culminata nel 2004 con Open Range).

Con inquieta lucidità, dunque, Raimi intreccia questa parabola a una sottotrama amorosa quanto mai corposa, incentrata su Billy e l’ex compagna (ma ex fino a che punto?) Jane. Di fatto, l’immobilità fisica, seppur parziale, di Billy (il braccio dolorante) secondo uno schema narrativo più che consolidato blocca la storia in un susseguirsi abbondante ma quanto mai fluido di flashback, che traghettano i due punti morti su cui si regge il film (la carriera di Billy e i suoi amori) lungo una giostra di microfratture destinata a risolversi con la trionfante performance sul diamante (sport peraltro adorato da Raimi – e si vede). Se lungo tutto il film il tempo pare sensibilmente bloccato in una sorta di stagnazione orizzontale inquieta che lascia infiltrare le schermaglie amorose della sophisticated comedy, in questa scena risolutiva dentro lo stadio il tempo pare finalmente bloccarsi del tutto, congelato in un attimo immobile in cui Billy, e con lui Raimi, possono finalmente concentrarsi e sfogare la propria inventiva a un tempo fisica e geometrica (quella de La casa e dei film successivi) in un’esplosione di traiettorie folgoranti e controllatissime. Con la pallina, e con la macchina da presa.

 

Titolo originale: For the Love of the Game


Regia: Sam Raimi


Interpreti: Kevin Costner, Kelly Preston, John C. Reilly, Brian Cox, Jena Malone

Durata: 132’
Origine: Usa, 1999
Genere: drammatico

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.6

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
5 (2 voti)
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