FILM IN TV – “La cosa”, di John Carpenter

La Cosa, di John Carpenter

Un classico del terrore dove l'esaltazione barocca della Creatura non ha solo il valore di ossequiare una precisa estetica “mostruosa”, ma anche quello di ricondurre la vicenda particolare a dinamiche universali, che sono quelle dell'Uomo contro i propri demoni. Mercoledì 19 Febbraio su Iris alle 23:05

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La Cosa, di John CarpenterSam Raimi una volta dichiarò che nei suoi film aveva tentato di travasare il suo rapporto con la bellezza: concetto difficile da abbinare ai demoni urlanti di Evil Dead, e che si può comunque applicare anche a La Cosa. John Carpenter compone infatti un'autentica ode alla mostruosità su celluloide, attraverso un lavoro di esaltazione della Creatura, che si inserisce perfettamente nel solco di quanto già tracciava negli stessi anni John Landis con il suo Un lupo mannaro americano a Londra: si noterà, infatti, come ogni apparizione della “Cosa” giunga non al culmine di un climax, ma in un momento di relativa calma, magari rompendo lo svolgersi di un'altra azione (il test del sangue, il piazzare le cariche esplosive), come a ritagliarsi uno spazio che sia pienamente suo e che, pur perfettamente iscritto nella relativa porzione di racconto, sia allo stesso tempo abbastanza autonomo da potersi offrire come sublimazione della creatività fantastica.

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Ciò che però pochi sembrano avere notato, al di là del magistrale lavoro sugli effetti speciali compiuto da Rob Bottin, e della precisa scelta di campo che Carpenter compie rispetto alla logica pluridecennale del “non mostrare il mostro” (che il regista fa risalire a una celebre sequenza de Il bruto e la bella di Vincente Minnelli), è l'estrema sobrietà della narrazione, che costruisce attorno alle singole apparizioni dell'Essere, un'atmosfera soffusa e un incedere molto stringato: dall'inizio in medias res con il cane in fuga dai norvegesi, alle celeberrime carrellate che attraversano gli ambienti vuoti della stazione antartica descrivendone gli spazi alieni e tentacolari, fino ai personaggi descritti con poche pennellate, tutto è attento a eliminare il superfluo e a ricondurre lo scontro a dinamiche essenziali.

 

Lo stile fa la differenza: annullare il contesto per esaltare il barocchismo della Creatura non ha solo il valore di ossequiare una precisa estetica “mostruosa”, ma anche quello di ricondurre la vicenda particolare a dinamiche universali, che sono quelle dell'Uomo contro i propri demoni. Non a caso il gioco è sulla riconoscibilità esteriore in un mondo intimamente abbruttito, dove i vari componenti della stazione antartica sembrano costretti a una convivenza forzata, che l'apparizione dell'Alieno non fa altro che esplicitare nelle sue tensioni più recondite. Chiaramente si è molto speculato sulle possibili letture metaforiche nell'era dell'individualismo sfrenato e delle malattie simil AIDS (tutte legittime, beninteso), ma appare più giusto sottolineare una prospettiva che è totalmente epica, nel senso etimologico del “racconto di grandi azioni”. Carpenter non a caso alterna movimenti morbidi della macchina da presa a dettagli che isolano singole azioni (la mano di MacReady che stringe il ghiaccio, il lanciafiamme che cade, il ghiaccio congelato sul braccio del norvegese suicida) amplificando le stesse nel più puro stile del racconto epico, dove ogni gesto è in grado di definire la propria autosufficienza rispetto alla storia che racconta.

 

In questo modo, l'oscillazione che il racconto produce continuamente fra la dimensione universale e quella personale, così come fra la mostruosità esteriore dell'essere e quella interiore mascherata di normalità degli uomini, trova un ulteriore corrispettivo in una vicenda che è allo stesso tempo il racconto della fine del mondo, ma anche la cronaca di una consapevolezza acquisita: quella che porta MacReady e compagni a decidere di immolarsi per impedire che il Mostro raggiunga la civiltà e contamini in tal modo tutto il genere umano. In questa dimensione assolutamente morale che il racconto riesce a raggiungere, si ritrovano tanto le dinamiche western da sempre care all'autore (e incarnate da Kurt Russell, non a caso arrivato a sostituire il preventivato Clint Eastwood), quanto il sogno di un cinema che sia in grado di raccontare il mondo, anche quando sembra che produca in apparenza un semplice intrattenimento per le masse (che infatti rifiutarono il film, destinandolo ai meandri del culto per pochi). In tal senso, sì, effettivamente La Cosa è davvero un'opera che esprime l'idea della bellezza nel suo senso più pieno.

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