FILM IN TV – Hud il selvaggio, di Martin Ritt

Hud il selvaggio concentra diverse tendenze del cinema americano degli inizi degli anni sessanta e rappresenta uno dei migliori risultati del felice connubio tra il regista Martin Ritt e il suo attore feticcio Paul Newman. Un anti-western nel quale Newman riesce a rendere credibile l'antieroe egoista, violento e senza possibilità di redenzione. Venerdì 14 marzo, ore 17,45 su Rai Movie

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Hud il selvaggio concentra diverse tendenze del cinema americano degli inizi degli anni sessanta e rappresenta uno dei migliori risultati del felice connubio tra il regista Martin Ritt e il suo attore feticcio Paul Newman
. Un quadrato in cui si iscrive la storia del “villain” texano Hud e il suo rapporto con il padre Homer (Melvyn Douglas, Oscar 1964 come miglior attore non protagonista) la governante Alma (Patricia Neal, Oscar 1964 migliore attrice protagonista) e il nipote Lonnie (Brandon Dewilde). A questa tetralogia di caratteri ben definiti corrisponde una confluenza di almeno quattro linee tematiche che si rincorrono intrecciandosi fino all'ultimo amaro fotogramma. Da una parte il “Sirkian melodrama” con improvvise sfortune e tragedie che stravolgono i rapporti di forza tra i personaggi. Dall'altro il perenne oscillare di Alma e Lonnie tra paura e desiderio, tra la tentazione di cedere alla superficie patinata dei sensi o la resistenza sulla base di un residuo afflato morale, sul modello di Tennessee Williams (Paul Newman diavolo in canottiera è un esplicito omaggio a Marlon Brando-Kowalski). Una ulteriore sottolineatura è quella del conflitto tra padri e figli, tra vecchia America tradizionalista e nuove generazioni di ribelli senza una causa che si autodistruggono tra alcool, sesso e macchine veloci (l'esempio seminale è Gioventù Bruciata). Infine l'operazione più importante: la destrutturazione del western classico (Il film è tratto dal romanzo Horseman,Pass by di Larry McMurtry, uno dei maggiori esponenti della narrativa western d’autore) sullo sfondo di una provincia rurale americana in piena decadenza, dove uomini e porci si rotolano nel fango.

Un anti-western nel quale Paul Newman riesce a rendere credibile l'antieroe egoista, violento e senza possibilità di redenzione. Già un anno prima (1962) con L'Uomo che Uccise Liberty Valance John Ford aveva stabilito che i confini della mitopoiesi di una nazione andavano ormai divergendo in una distanza incomprimibile tra sogno e realtà. Di lì a poco, il 22 Novembre del 1963, gli spari a Dallas faranno irrompere la Storia nell'immaginario collettivo americano.

Martin Ritt usa un bianco e nero molto contrastato (Oscar 1964 miglior fotografia a James Wong Howe) e disegna le scene con una particolare attenzione alla posizione dei personaggi nella inquadratura. Si prenda per esempio la scena del ritorno a casa di Hud e Lonnie accolti sulle scale dal vecchio Homer: qui il movimento della macchina da presa e dei tre personaggi viene sospeso in uno stato di crescente tensione fino al momento della rivelazione dell'amara verità. Altro momento importante è quello in cui Hud ubriaco tenta di violentare Alma mentre Lonnie cerca di fermarlo: anche qui i tre personaggi si distribuiscono nel campo di sguardo alternando le posizioni di dominanza. Il fascino malvagio di Hud crolla di fronte alla violenza, alla morte, alla umiliazione nella melma e nel fango. Martin Ritt rivela una lucida consapevolezza sulla pericolosità dell'effetto emulazione e sulla differenza tra la realtà e la sua rappresentazione, spesso ipertrofizzata, dilatata, esteticamente manipolata. In una America in rapida trasformazione sociale, diventa un bene prezioso la fermezza di ciascun individuo di fronte ai simulacri del potere, della ricchezza e della bellezza. Se è vero che non si esce vivi dalla propria esistenza, almeno possiamo per un momento provare a venirne via puliti.

Lonnie, lo capisci che a poco a poco tutto il paese cambia completamente per colpa degli uomini che noi ammiriamo?"

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