Il conformista, di Bernardo Bertolucci

Dietro la naturale e originale eleganza formale dove si nasconde la violenza di un regime, ma soprattutto il mostruoso conformismo del suo protagonista. Tra i film più belli del regista.

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C’è una naturale eleganza che conferisce al film un’atmosfera di rarefatta sospensione, un andamento sinuoso che vive di una leggerezza, quasi volatile e di improvvise accelerazioni nelle quali esplode la violenza fisica o cerebrale. Di questo straordinario e quasi ineguagliabile  equilibrio vive Il conformista, tratto da un romanzo minore di Alberto Moravia. Più che un film sul fascismo è un film sugli effetti del regime, ma ancora più in profondo è un film sull’aberrazione del potere, sul potere cerebrale di chi domina e chi è dominato. Un’opera complessa, dalle consistenti stratificazione il cui andamento quasi irregolare assomiglia ad un incontro galante che diventa ritmo amoroso dell’accoppiamento che si ferma e riprende alla ricerca della maniacale perfezione, che non sconfina mai nella maniera. Quindi un film anche sul desiderio che non ha età e basta ricordare il dialogo tra Maurizio e la madre un po’ dissoluta. In questi ambienti, dove la natura velenosa di Maurizio esce al naturale, egli non ha bisogno di desiderare una protettiva mimetizzazione. La necessità si manifesta come reazione a ciò che è sconosciuto (si veda il finale del film) ed è per questa ragione che si deve parlare di pericoloso conformismo, di smisurato e mostruoso conformismo.

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Maurizio Clerici, un perfetto Jean-Louis Trintignant, è un uomo senza sentimenti, senza passioni, se non per il potere che lo domina e che intende esercitare, al quale mostrarsi ligio, obbediente, misurato e sempre disponibile e questo fa di lui un personaggio che vive solo di se stesso, all’ombra di un regime che lo protegge. Un potere che si legittima consumando l’esercizio del dominio come nel gioco perverso tra vittima e carnefice che nasconde la codardia che Maurizio esorcizza attraverso la pantomima di un potere che non possiede. Non è estraneo a questo profilo il senso profondo di un altro film che ha sempre a che fare con un regime e che ha analizzato il rapporto tra vittima e carnefice, anche se in modo più complessivo e meno legato all’attualità che descrive. Il portiere di notte è una riflessione potente e profonda sui regimi, sulla colpa e sulla sopraffazione come forza capace di dominare le volontà e se Liliana Cavani scava indagando sulla opposizione tra bene e male, Bertolucci sussume l’idea e trasforma il tema in struttura portante del racconto, in materia oscura che lega l’intera vicenda del suo protagonista.

Maurizio dalle spigolose e rigide forme, vive agilmente e confortevolmente dentro questo contesto così violento, così potenzialmente violento. La ricerca di Bertolucci è chiaramente espressiva e il suo cinema acquisisce forse una propria decisa fisionomia, qui in particolare sperimenta una ricerca compositiva che non è mai ostentata e che riesce a dare la giusta luce al film conferendogli uno stile assolutamente originale. Tutto ciò anche grazie ai contrappunti della luce che arricchiscono i temi del film e non è un caso che sia Vittorio Storaro a calibrare i chiari e gli scuri delle immagini. Fa parte di questa ricerca complessiva anche il lavoro sul tempo interno del racconto che diviene chiave di accesso alla psicologia del personaggio. L’autore parmense, infatti, si misura non soltanto con un andamento dal ritmo sincopato, quasi inavvertibile nella sua armonia subliminale, ma anche con una cronologia spezzata e non necessariamente lineare. È il passato di Maurizio Clerici che ritorna per spiegarci il suo presente. La follia del padre, che ritorna come un fantasma nella sua vita, abandonato in un manicomio dallo stile razionalista disarmante, nella freddezza che racchiude la follia. Nel suo presente resta essenziale il suo rapporto con le donne vissuto sempre nella stessa ottica prevaricatrice, in assenza di veri sentimenti d’amore e ciò accade sia con la bella giovane moglie Giulia, ancora una volta Stefania Sandrelli che ha attraversato davvero le stagioni di un cinema essenziale, fulcro di un futuro forse mai del tutto arrivato, ma seme essenziale di un presente ricco di suggestioni; sia con Anna, Dominique Sanda, la giovane e sensuale moglie dell’uomo di cui Clerici si finge amico per poterne catturare la fiducia e mettere in atto il piano per cui ha messo piede a Parigi, città che gli è estranea, sottolineando una insensibilità che è freddezza frutto di un puro calcolo e di un forzato adattamento. Lo sviluppo del racconto metterà in luce la vigliaccheria mascherata da ambizione.

Il conformista vive però, nonostante o forse grazie a queste connotazioni, di una sottile e pervasiva sensualità che si manifesta negli ammiccamenti di una seducente Sanda, nelle grazie rotonde della bella moglie Giulia. È proprio nell’eros, nel suo manifestarsi così intenso, nella sua silenziosa onnipresenza, che sembra materializzarsi quel desiderio che è sempre istinto di sopraffazione, di possesso, che, in fondo, fa parte di una possibile raffigurazione del fascismo che non è mai stato veramente disgiunto da un’idea del rapporto tra sessi guardate e interpretate sempre attraverso dinamiche oppressive e prevaricatorie. In quest’ottica anche il paventato assassinio di Quadri, già suo docente all’università, assume un rilievo differente. Non è soltanto l’uccisione di un antifascista, di un uomo opposto, anticonformista in un mondo di dilagante conformismo – forse in fondo il termine più adatto per ripercorrere una storia in chiave sociale del fascismo – ma anche un assassinio che diventa uccisione del maestro, del padre. Così quando il viaggio di nozze sembra colorarsi del colore del sangue, la geometrica composizione di Bertolucci, si tinge dei colori della tragedia e non si possono non leggere in questo scenario i temi scespiriani che hanno a che fare con l’eterna ambizione e con le passioni disperate qui consumate dentro un piccolo universo in cui una piccola anima tenta di farsi largo.

 

Regia: Bernardo Bertolucci
Interpreti: Jean-Louis Trintignant, Stefania Sandrelli, Dominique Sanda, Pierre Clémenti, Gastone Moschin, Enzo Tarascio, Fosco Giachetti, Yvonne Sanson
Durata: 116′
Origine: Italia, 1970
Genere: drammatico

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
5
Sending
Il voto dei lettori
3.71 (7 voti)
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