Heat. La sfida, di Michael Mann

Al di là del semplice gioco dei rispecchiamenti fra due grandi attori, Mann riesce a creare una struttura a cerchi concentrici in grado di riverberare influenze sempre più allargate.

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Il cinema di Michael Mann coltiva uno spiccato interesse per il confronto umano, alla cui base c’è un costante rispecchiamento/corteggiamento fra opposti. Il poliziotto Will Graham deve “entrare” nella mente del killer Dente di Fata in Manhunter, così come il tassista Max Durocher deve confrontarsi con lo spietato assassino Vincent in Collateral, apprendendo dall’avventura quasi una lezione sulla propria vita e i propri sogni. Ma c’è un momento, nella carriera dell’autore americano, in cui questo confronto esce dai gangli della pura dinamica narrativa per farsi autentica riflessione sulla capacità mitopoietica del cinema americano stesso: è il 1995, quando Heat mette a confronto due icone come Al Pacino e Robert De Niro, in un confronto tanto serrato quanto meravigliosamente operistico – la frase di lancio dichiaratamente è “Quando il cinema diventa leggenda”. Oggi che i due attori hanno malauguratamente dissipato il patrimonio artistico rappresentato dalle rispettive carriere, la riflessione sulla forza espressiva di un cinema che esiste in quanto riflessione sull’iconografia leggendaria rischia di apparire velleitaria e desueta. Ma ha ancora forza, nella misura in cui Mann riesce a essere esemplare nel classico ritratto della “guardia” Vincent Hannah e del “ladro” Neil McCauley, al di là del semplice gioco dei rispecchiamenti fra i due personaggi, ma in quanto base di partenza per una struttura a cerchi concentrici in grado di riverberare influenze sempre più allargate.

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C’è quindi il cinema in quanto forma di leggenda che si fa narrazione, secondo una lezione epica che può essere fatta risalire a John Ford e che Mann perseguirà anche in Nemico pubblico. Due uomini, che incarnano due diverse concezioni della vita, nel cui scontro si riassume tutto l’universo, ma che pure faticano a tenere insieme il proprio mondo perché troppo assorbiti dai rispettivi personaggi, quasi una sorta di Ethan Edwards sdoppiato in due metà antitetiche eppure uguali. Ma c’è anche una precisa ricognizione sulle strategie visive del cinema d’azione tutto, fra l’umanità dolente dei noir di Raoul Walsh e John Huston, con due eroi votati a una sconfitta che sarà alla fin fine condivisa; e poi un iperrealismo della messinscena degno dei western leoniani (si faccia attenzione ai colpi di pistole e fucili che riecheggiano come fossero tuoni) e l’immediatezza da strada del cinema di Hong Kong (qualcuno in altre occasioni ha citato i film di Kirk Wong): esemplare in tal senso la lunga sequenza d’azione centrale con la rapina in banca e la furiosa sparatoria nel centro cittadino, che pure è un rispecchiamento del più calmo confronto al bar fra i due antagonisti, dove si tracciano le coordinate di tutti i mondi possibili in cui forse la sfida potrà essere evitata. Il confronto fra la fisicità dell’azione e l’invasiva presenza delle parole è uno dei momenti che rendono alta la sfida narrativa ed estetica del capolavoro di Mann.

Ma poi c’è anche e soprattutto il racconto di “una grande storia cittadina, o la storia di una città”, per usare le parole di Christopher Nolan (che avrà ben presente il film quando girerà il prologo de Il cavaliere oscuro), anche qui coniugato in un preciso lavoro estetico, con la fotografia di Dante Spinotti che disegna un mondo virato al grigio e al nero, dove i personaggi appaiono in quanto emanazioni della Los Angeles in cui si muovono e cercano di dare un senso alle proprie vite. E’ una città anch’essa molto concreta nella sua descrizione, eppure quasi generica, in cerca di una presenza specifica, e per questo teatro di una corsa continua al proprio scopo, come i due protagonisti. In questo senso Michael Mann elabora quanto già abbozzato in Strade violente e quanto, soprattutto (e in modo ancora più complesso) farà in Collateral e in Miami Vice (forse il punto di non ritorno per questo particolare percorso autoriale): dare forma cioè a un cinema che sta sui personaggi, ma allo stesso tempo è più in alto di loro, per come plasma un universo metropolitano da cui i protagonisti sono generati e dove al contempo si perdono.

Titolo originale: Heat
Regia: Michael Mann
Interpreti: Al Pacino, Robert De Niro, Val Kilmer, Jon Voight, Tom Sizemore, Diane Venora, Amy Brenneman, Ashley Judd, Natalie Portman
Durata: 170′
Origine: USA, 1995
Genere: noir

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4 (7 voti)
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