FILM IN TV – Le notti bianche, di Luchino Visconti

E' un film che vive di una particolare atmosfera nella quale si riproduce, moltiplicandosi, tutta l’essenza della dimensione solo onirica delle vicende del suo protagonista. Visconti mette in campo la sua sensibilità, e la sua estetica ossessiva, per conferire al film quella patina di falsità e di indistinta memoria del reale che esprime una tensione verso un’idea di stretta coerenza tra l’immaterialità del sogno e la sua reale messa in scena. Martedì 6 maggio, ore 22,45 SKy Cinema Classics

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Non mi sembra che la Livorno delle Notti banche sia così livida e sinistra come certa stampa ha scritto. Essa corrisponde piuttosto al ricordo che, la mattina dopo, ognuno ha del paesaggio notturno di una città nella quale si è girato a lungo durante le ore piccole. Nella memoria tutto resta indeterminato, indistinto, strade, piazze vicoli si compenetrano gli uni negli altri, le persone non hanno più fisionomie precise, ma diventano forme, volumi, macchie di colore.

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Suso Cecchi D'Amico

Accostandosi a Le notti bianche che Visconti realizza nel 1957, sono utili le parole della sua fidata sceneggiatrice poiché introducono agli elementi forse principali di questo particolare melodramma che sembra appartenere tutto alle corde di Visconti. L’ambientazione e il gran lavoro sulle scenografie notturne messi in campo per il film, riconducono le riflessioni sulla sempre viva spettacolarità del cinema che, dai tempi di Melies ai nostri, non smette di stupire e di inventare trucchi e stratagemmi per trascinarci nella storia. Ci sembra che l’impianto scenografico ideato da Visconti, ma realizzato da Mario Chiari e Mario Garbuglia, abbia come unico scopo quello di riprodurre le turbolenze del sogno quando questo si manifesta nella coazione a ripetere così come accade al protagonista. Apparirebbero così giustificati sia l’evidente inverosimiglianza che pervade la storia, i dialoghi e perfino la ricostruzione della città.

Mario impiegato contento della propria vita, tornando una sera a casa incontra una donna, lei sta piangendo e lui le si avvicina. Si rivedranno nelle notti successive e quando lei gli racconterà la sua storia d’amore con un uomo che va ogni notte ad aspettare che torni, Mario è combattutto tra la gelosia e il desiderio di aiutarla. Ma la loro storia non ha futuro.

Tratto da un romanzo breve di Fëdor Dostoevskij il film ne ricalca essenzialmente la trama spostando l’azione da S. Pietroburgo ad una possibile Livorno.

La maggior parte della produzione di Visconti è ispirata da opere letterarie preesistenti che sono state messe in scena con particolare adesione alla trama (Morte a Venezia) oppure travisandone la storia, ma non gli intenti (La caduta degli dei). Le notti bianche appartiene di diritto alla prima delle due categorie e traduce, con la verosimiglianza di un reale tutto finto, l’atmosfera onirica del protagonista, riproponendo la struttura immaginata dallo scrittore russo che scandisce in quattro notti il racconto del suo sognatore.

È dunque dentro questa particolare atmosfera, in cui la riproduzione onirica si ripete e si moltiplica, che la storia, di leggera consistenza, prende peso e sembra materializzarsi. Le tracce che dimostrano l’alternanza tra la veglia e il sonno sembrano potersi rintracciare nei risvegli mattutini del giovane protagonista ai quali seguono gli avvenimenti notturni che sembrano trasformare l’essenza di Mario, un Marcello Mastroianni sensibile e versatile. Lui è solo un sognatore, un idealista votato alla sconfitta, un uomo che sogna una realtà che non esiste, un amore che non ha poiché è di altri, un illuso che sembra conoscere la vita solo dentro questa ripetuta e cosciente dimensione del sogno. La sovrapposizione tra questa intima natura della storia e la resa sullo schermo è opera di sottile e difficile realizzazione. Visconti mette in campo la sua naturale sensibilità, anche la sua estetica ossessiva, per conferire al film, ma a ad ogni sua singola immagine notturna, quella patina di falsità e di indistinta memoria del reale di cui parla Suso Cecchi D’Amico, complice il lavoro di Rotunno sulla nitida resa della fotografia e di Garbuglia e Chiari che rendono l’immobilità della città avvolta in una perenne nebbiolina realizzata con chilometri e chilometri di tulle disseminato sul set. Sullo sfondo del racconto, accanto alla grazia giovanile della protagonista Maria Schell, c’è la seduttiva Clara Calamai nel ruolo della prostituta verso la quale il protagonista si rifugia quando la disillusione sembra porre fine al suo sogno.

Forse Le notti bianche è in fondo un’opera minore del regista milanese che di lì a poco avrebbe realizzato Rocco e i suoi fratelli, uno dei film centrali della sua opera complessiva, ma resta comunque un melodramma nel quale il cinema di Visconti, in fondo legato ad una concretezza storica quasi maniacale, in modo originale e quasi unico sembra esprimere a pieno quella tensione verso una idea di stretta coerenza tra l’immaterialità del sogno e la sua reale messa in scena.

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