CANNES 58 – Squarci d'Africa

Dal Sudafrica al Marocco, uno sguardo nuovo, inatteso e sorprendente, da "Drum" di Zola Maseko (Evento speciale della "Semaine de la Critique") a "Marock" di Laïla Marrakchi, presentato nella sezione "Un certain regard"

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C'è qualcosa di nuovo nel cinema africano. Dal Sudafrica al Marocco. Una necessità di aprire lo sguardo, di comunicare st(r)ati della memoria e del presente con un respiro – narrativo e visivo – nuovo, inatteso, sorprendente nell'adesione alla realtà attraverso il grado più esibito dell'artificio, della rappresentazione. Testimoni, corpi preziosi di questo percorso, sono due opere prime presentate a Cannes, Drum del sudafricano Zola Maseko (evento speciale della 'Semaine de la critique') e Marock della marocchina Laïla Marrakchi (nella sezione 'Un certain regard'), che, per la loro universalità di sguardo, sarebbe importante trovassero adeguata distribuzione italiana.

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Drum, ambientato negli anni Cinquanta dell'apartheid più duro, e specificamente a Sophiatown, e Marock (titolo estremamente teorico, nella fusione di due parole, Marocco e rock, che già evidenzia l'originale percorso elaborato dalla regista), immerso nella Casablanca borghese di fine anni Novanta, lavorano sulla verità che le immagini producono, ci fanno credere alla finzione, dentro la quale ri-trovare (sparsi, in Marock; ampiamente diffusi, in Drum) indispensabili elementi sociali e politici: la lotta contro la discriminazione razziale nel film di Maseko, la quotidianità degli adolescenti nel lungometraggio di Marrakchi.


L'indagine di un reporter nero e della redazione del giornale per il quale lavora, una testata mitica e militante come fu appunto quella del 'Drum' (la cui vita fu rievocata anche dal bellissimo documentario Have you seen "Drum" recently?, realizzato negli anni Ottanta), per svelare i soprusi cui era sottoposta in ogni istante la popolazione black, è narrata con stile appassionato e incalzante, che trae complicità dal miglior cinema americano di denuncia (da Boorman a Brubaker) e, nelle scene musicali dei locali jazz, dal Cotton Club di Coppola. Complicità, mai copia forzata. Così come naturale è l'aderire, nella scena della festa danzante, nell'accenno alla canzone di Miriam Makeba, al capolavoro underground, girato in clandestinità nel 1959 dal newyorkese Lionel Rogosin, Come back, Africa!. Maseko, già autore di brevi fiction e di un documentario teorico-politico come The Ottentott Venus-The life and times of Sara Bartman, costruisce una densa struttura diegetica in un crescendo di tensione drammatica, credibile anche nei momenti in cui alcune scene (come quella della prigione) trovano uno sviluppo un po' troppo sbrigativo.


Laïla Marrakchi (il cui sguardo sensibile era già ben visibile nei cortometraggi L'horizon perdu e 200 dirhams)  immerge il suo sguardo nella Casablanca del quartiere residenziale di Anfa, culla della borghesia marocchina e dei suoi privilegi. E racconta, nel corso del mese consacrato al Ramadan, quella società e lampi di cronaca (la guerra del Golfo) e questioni sociali (la convivenza tra marocchini musulmani e ebrei) attraverso il punto di vista di tre ragazze adolescenti e delle loro storie: familiari, sentimentali, d'amicizia e di sesso. Un teen-age movie che guarda a capolavori di quel genere, a partire da Gioventù bruciata (espressamente citata in una delle scene più belle e mozzafiato, la corsa dei giovani sulle tre auto, sfidandosi per le strade sgombre al tramonto), inserendosi in quel percorso con sicurezza e originalità, tenerezza e precisione, un ritmo serrato di musica (vero e proprio personaggio) e montaggio, e al tempo stesso sensuale nel distendersi nella dimensione del piano sequenza, della dissolvenza incrociata che mette in relazione gli spazi, nella costruzione di un unico luogo nel quale muoversi e sostare per cogliere dettagli e totali di un universo (auto)biografico, "come un album di foto" – così lo definisce la regista – tenero e nostalgico".

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