VENEZIA 62 – "Yokai Daisenso", di Miike Takashi (Fuori Concorso)

La scheggia sacrilega nipponica sbrindella questa volta la propria cinematografia dall'alto della sua potenza rinnovatrice. Grazie a tutto ciò che ha fatto può rompere con quanto ha fatto. Qualcosa di visionario e fatale scorre sullo schermo della Mostra: il corpo di questo cinema fluttua e deraglia ininterrottamente.

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La scheggia sacrilega nipponica sbrindella questa volta la propria cinematografia dall'alto della sua potenza rinnovatrice. Grazie a tutto ciò che ha fatto può rompere con quanto ha fatto. Qualcosa di visionario e fatale scorre sullo schermo della Mostra: sotto mentite spoglie dell'horror adolescenziale, il corpo di questo cinema fluttua e deraglia ininterrottamente: dai tratti ciberpunk al fantasy che sbudella ironia di casa. Ci si perde nel mondo folcloristico "yokai", il corrispettivo degli gnomi, del folletti e delle fate. L'indecisione poetica e geniale di Takashi coerentemente non conosce limiti, errando follemente tra i generi e i supporti, fino a momenti anche d'evasione dalla violenza smodata. Un bambino di dieci anni, proveniente dalla grande città, ha delle difficoltà ad ambientarsi nella piccola città in cui si è trasferito con la madre. Un giorno, durante una festa religiosa viene scelto come Cavaliere Kirin che secondo la leggenda è l'unico eroe capace di ristabilire la pace nel mondo fantastico e immaginario tra l'esercito del male e gli antichi spiriti del luogo. Complice di questo viaggio estasiante, il grande maestro manga Shigeru Mizuki, presente nel film con un cameo e co-sceneggiatore. Nell'autentico territorio di sperimentazione, Takashi, squarcia anziché aprire nuovi orizzonti verso il kolossal che ha comportato più di un anno di lavoro (lui abituato a realizzare anche 4 film in 365 giorni) e più soldi del solito. Ma la novità più sconvolgente è celata da una visionarietà che non è più del tutto mitigata dalla ragione o dalla natura. Il paradosso dell'esistenza si mostra agli occhi di chi non vuole crescere con la paura e l'odio: la carne è vulnerabile: vede paradisi e inferni, si ricicla non più per condanna nel risucchio onirico e sadico della colpa. Le coordinate del marasma percettivo affondano da ogni angolazione con la raffinatezza e l'ispirazione di un autore ormai pronto ad una "bugia bianca" che segni il passaggio all'età adulta e consapevole del capolavoro.  

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