VENEZIA 62 – La fine dell'utopia, "Verso il sud", di Laurent Cantet

Il film più intimo e politico della 62a Mostra del Cinema, pervaso di suggestioni e riflessioni alla Michel Foucault, mescolate con lo sguardo freddo e il cuore palpitante di un Fassbinder. Con donne non più giovani in cerca di quell'utopia dell'amore, fuori dal mondo reale. E dove le differenze sociali dividono, i corpi uniscono.

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Eccolo, dunque, il film più intimo e politico della 62a Mostra del Cinema. Che non vincerà alcun Premio, né piacerà alla critica, che infatti non è impazzita per il nuovo lavoro di Laurent Cantet. Eppure gli sarebbe bastato così poco per "fregare" gli animi impuri…: una descrizione più cinica delle donne dell'opulente occidente, una critica maggiore del loro sfruttamento sessuale dei giovani caraibici, magari un più avvincente richiamo alle ribellioni che, negli anni Ottanta, esplosero ad Haiti. E allora tutti si sarebbero spellati le mani per il grande esempio di cinema civile e politico che critica lo sfruttamento del Sud da parte del Nord del mondo. Magari con un grido di allarme finale, morale e punitivo.

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Ma Cantet non fa nulla di questo. Non giudica. Racconta. E lavora sui corpi. Sui desideri. Sul conflitto tra le classi che non è sempre così semplice e definito, ma spesso sottile ed ambiguo.


Sembra pervaso di suggestioni e riflessioni alla Michel Foucault questo magnifico e inafferrabile Vers le sud, mescolate con lo sguardo freddo e il cuore palpitante di un Fassbinder, tra i pochi a raccontare cose vere della sessualità, oltre gli stereotipi e le paure da giochi psicoanalitici. "Non descrivo una forma innocente di sessualità – dice il regista – ma la sessualità come strumento di potere politico, sociale ed economico". 


Anni Ottanta, isola di Haiti, le spiagge e gli alberghi come piccolo paradiso per ricche donne che, passati da tempo i 40 anni, trovano nella loro vita ormai solo frustrazioni desideri proibiti. Ma nulla è proibito qui, dove invece giovani e freschi corpi di ragazzi del luogo volentieri si mettono a disposizione, per soldi certo, offrendo quel piacere dei corpi che fa rinascere letteralmente le non più giovani donne. Ellen (Charlotte Rampling) è un abituale frequentatrice del luogo, dove da anni passa le sue estati, e il suo ragazzo preferito è Legba (Menothy Cesar), con il quale intrattiene un rapporto da tempo. L'arrivo della più giovane Brenda (Karen Young), che ha conosciuto lo stesso ragazzo ma in un altro periodo dell'anno, scatenerà un piccola guerra di gelosie tra le donne, mentre il giovane si ritroverà implicato in situazioni con il suo "mondo reale" che lo porteranno in direzioni drammatiche.

Non ne fa un vero e proprio "affresco sociale" Cantet, anzi sembra quasi voler rinchiudere i corpi dei suo personaggi dentro il paradiso della spiaggia e dell'albergo, come se la realtà esterna, sia per le donne che per i giovani "gigolo", appartenesse davvero a un altro mondo, un'altra vita. Riprendendo con grande passione i racconti dello scrittore Dany Laferriere, Cantet si concentra sul desiderio fisico "l'unica cosa in grado di avvicinare una persona all'altra" in un mondo di differenze sociali spaventose. Non possediamo che corpi, e quelli solo possiamo usare per provare a giocare alla pari la guerra della vita. E così, mentre il film si dipana tra massaggi sulle spiagge e amori nelle stanze d'albergo, Cantet fa raccontare alle sue donne delle vere e proprie confessioni alla macchina da presa, permettendo così ai personaggi di rivelarsi in prima persona. Non mette mai pezzi sfilacciati, però. La storia iniziale della donna all'aereoporto che vuole vendere sua figlia si intreccia emozionalmente con quella della ragazza amica di Legba in limousine, così come le vicende di Ellen e Brenda, ma anche di ruoli che di volta in volta sembrano voler negare dei giochi troppo manifesti ("non sei mia madre" dirà Legba a Ellen quando lo vuole portare con se a Boston, e dalla vera madre poco dopo andrà a portare i soldi del suo "sporco" lavoro). Quello che colpisce nel film è questo intreccio costante e incredibile di intimità e società. Ma se è vero che Cantet descrive miserie sociali e sessuali, è altrettanto manifesta l'intenzione di non giudicare né gli uni né gli altri. Forse è questa mancanza di furbizia che nega a Cantet i grandi plausi della critica: non c'è la divisione tra i ricchi bastardi e le povere vittime, proprio come avveniva nel disturbante cinema di Fassbinder, dove i mostri erano i rapporti che si creavano tra le persone, più che le persone stesse. Alla fine ne viene fuori un quadro in cui, paradossalmente, la spiaggia e l'isola divengono un luogo utopico dell'amore, per sfuggire a una realtà esterna fatta di dolore, solitudine e frustrazione. E questo è reciproco – e conveniente – sia per i ricchi che per i poveri.


Ma mentre i poveri, poi, muoiono, "i turisti non muoiono mai", come dirà emblematicamente l'ispettore di polizia ad Ellen. Cantet ha voluto riportare una frase detta proprio da Dany Laferriere.


Una frase terribile, certo, "perché obbliga il turista/spettatore a riconoscere la sua condizione di eterno osservatore che non avrà mai la possibilità di prendere parte nella vicenda". Ovvero fuori dal mondo, dalla realtà. E per ricacciarcisi dentro ci sono volute solo, drammaticamente, le bombe dei terroristi negli alberghi egiziani. Anche i turisti muoiono, oggi. L'utopia dell'amore è perduta per sempre.

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