VENEZIA 62 – "O fatalista", di Joao Botelho (Concorso)

Dal romanzo "Jacques le fataliste" di Diderot, un film sempre in bilico tra parole e immagini, o meglio, tra ciò verso cui tendono le parole e quello che, invece, sanno nascondere/rivelare le immagini. Un misto di realtà e di illusione, fantasia, pensiero, ipotesi, che rappresenta da sempre il magico mondo del regista portoghese.

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Sta nel destino, o, più precisamente, nel fato, il senso della vita che ogni uomo sulla terra dovrebbe avere sempre ben presente. Lo dice il regista portoghese Joao Botelho nel suo O fatalista, presentato in concorso alla mostra di Venezia. Due personaggi per la strada in un viaggio senza meta, discutono, si scambiano opinioni e arguzie sulla vita e sulla moderna società. Il teorema di Botelho è sempre lo stesso: prendere un testo di partenza, in questo caso il romanzo settecentesco di Diderot "Jacques, le fataliste" (lo stesso cui si era ispirato anche Bresson per La Dame du Bois de Boulogne e applicarvi tutte le digressioni e le varianti che il cinema rende possibili. Ne esce un film sempre in bilico tra parole e immagini, o meglio, tra ciò verso cui tendono le parole e quello che, invece, sanno nascondere/rivelare le immagini. Un misto di realtà e di illusione, fantasia, pensiero, ipotesi, che rappresenta da sempre il magico mondo di Botelho. Protagonisti sono un uomo e il suo autista Tiago, personificazione di una filosofia della vita che fa convivere con arguta e armoniosa felicità, la fede nel destino e la possibilità che sempre e comunque questo destino può essere stravolto e modificato. Basta scegliere la direzione da far prendere ai propri pensieri e tutto può succedere. Così la realtà si capovolge, e il racconto prende il sopravvento, nascono mille realtà, manipolate eppure tutte magnifiche, tutte territorio verso il quale riversare innocente e sincera fiducia. E non manca certo il discorso politico, graffiante, come quasi sempre, che si concentra sulla lotta di classe e sulla riflessione che è solo l'uomo la causa e l'artefice di ogni cosa, basta saper vivere la vita come fosse un racconto che si autoalimenta, infinito, come una strada piena di incroci, di strade da prendere e lasciare. L'invenzione è la risorsa che interessa maggiormente Botelho, ma quella che sa costruire, che alla fine sa sorprendere lo sguardo e la mente, e si trasforma in immagine, fluida, solare, ariosa, splendente, anche mutevole, superficie da plasmare, ma materia che non perde la memoria di ciò che è stato. "Tutto il bene o il male che accade quaggiù è scritto lassù" dice l'autista Tiago al suo capo che lo segue silenzioso e divertito, lasciando che i ruoli spesso si capovolgano e ascoltando e seguendo il suo accompagnatore con divertita e affascinata disponibilità. Come fosse un consiglio per affrontare tutte le strade del mondo.

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