"Paradise Now", di Hany Abu-Assad

Nonostante il tema assolutamente scottante e d'attualità, la pellicola fa passare, grazie allo stile ed al linguaggio asciutto utilizzato dal regista, la tematica politica in secondo piano rispetto alla normale pratica di normali ragazzi palestinesi deviati da una molteplicità di fattori verso un epilogo autolesionista e vendicativo.

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Raramente in Italia si ha la possibilità di assistere alla proiezione di un film palestinese, mancando nel paese un'industria cinematografica e ancora di più mancando nel paese uno stato in grado di gestirla. La possibilità di conoscere e avvicinarsi a questa cinematografia è rintracciabile ora nelle sale di alcune città italiane grazie al film Paradise Now, del regista Hany Abu-Assad, che racconta come recita lo squillante sottotitolo le ultime 24 ore di un kamikaze diviso tra l'ineluttabile destino del martire e l'illuministica possibilità della ragione. Dopo la realizzazione di diversi cortometraggi il regista palestinese ha esordito nel genere lungo con The 14Th Chick, che ha aperto il festival del Cinema Olandese nel 1989, e a cui è seguito "Nazareth 2000" un documentario su due benzinai di Nazareth. Nonostante il tema assolutamente scottante e d'attualità, la pellicola fa passare, grazie allo stile ed al linguaggio asciutto utilizzato dal regista, la tematica politica in secondo piano rispetto alla normale pratica di normali ragazzi palestinesi deviati da una molteplicità di fattori verso un epilogo autolesionista e vendicativo. Paradise Now, candidato per una nomination all'Oscar come migliore opera straniera e già vincitore del premio Amnesty International alla 55esima Berlinale, fotografa sul campo le condizioni di una popolazione che vive da lunghi anni sotto l'occupazione israeliana, disegna la cornice e tenta di esplorare le motivazioni entro le quali un essere umano (né vittima né carnefice ma una summa di entrambi) coltiva e mette in atto il proposito di uccidere e morire. Nel film ci sono tre distinti elementi, storia, tensione e realtà, che insieme equilibrano la visione per una pellicola girata in una Nablus sotto assedio nella quale è palpabile lo stato di perenne controllo dei suoi abitanti. La sottile vena epica che sottintende gran parte della visione riecheggia trascorsi e spunti dei grandi western del passato, dichiarando lo stesso regista un amore spassionato per i film di Sergio Leone. La bravura di Abu-Assad sta proprio nell'usare un linguaggio cinematografico denso di un'etica filmica, che veicoli un certo messaggio avendo la cura di non perdere di vista l'interesse principale in un'opera del genere, cioè quello di un amore profondo verso il cinema.

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Regia: Hany Abu-Assad


Interpreti: Kais Nashef, Ali Suleiman, Lubna Azabal


Distribuzione: Lucky Red


Durata: 88'


Origine: Palestina, 2004

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