"Red Eye", di Wes Craven

Niente sangue in questo raffinato e stilizzato thriller "senza" horror di Craven che, pur continuando a giocare a rimpiattino con lo spettatore, lancia (e vince) una sfida al cinema che l'ha reso grande. Le maschere cadono e rimangono le livide evidenze delle umane debolezze, compresse e deformate dalla pressione d'alta quota.

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Tra citazionismi (Airport) e autocitazioni (Scream) in questo Red Eye (nel gergo dei piloti s'indicano con quest'espressione i lunghi voli notturni che fanno arrossare gli occhi stanchi dei passeggeri) troviamo sostanzialmente un Craven depurato dai forsennati ritmi horror e calato in quelli morbidi e taglienti del thriller psicologico, asciugato dagli schizzi gore, splatter e slasher che lo hanno reso grande e che rendono quest'ultima sua opera, a suo modo, preziosa. E le maschere craveniane cadono. Non sono più quelle materiche del munchiano serial killer di Scream o dell'ustionato Freddy Krueger di Nightmare, ma quelle nascoste dietro visi uguali a quelli di tanti che "scatenano la paura nella testa dello spettatore", come scriveva Federico Chiacchiari a proposito di uno dei migliori Craven di sempre, Il serpente e l'arcobaleno. Il regista di Cleveland mostra le proprie doti di maestro della tensione tenendo a bada con sapienza le unità aristoteliche di luogo, spazio e tempo, la gestione psicologica e action della claustrofobìa compressa nella pressurizzata "scatoletta volante" e il gioco del gatto col topo senza strafare mai e vince la sfida d'isolare virtualmente una donna ricattata e impotente in mezzo a centinaia di passeggeri "accatastati" in un Boeing 767 (non rinunciando alle sue tipiche frecciate sociali, quando affida all'innocenza della bambina che viaggia da sola la capacità d'intuire quello che sta succedendo in mezzo all'incomprensione generale degli adulti che la circondano) seguendo il filo rosso del trapasso progressivo ed inesorabile da un'iniziale atmosfera carica di fiducia e innocenza ad un incubo subdolo e inquietante. La radicalità dello sguardo del protagonista, capace di svelare la violenza sessuale subita precedentemente da Lisa, è la stessa che anima l'essenza dell'horror nella sua capacità di andare fino in fondo, nell'anima più riposta di cose e persone. Un valore aggiunto gli occhi di ghiaccio di Cillian Murphy, indimenticabile protagonista delllo zombie-movie accellerato 28 giorni dopo di Danny Boyle, che competono tranquillamente con quelli del "texano" di Eastwood, ma anche Rachel McAdams dosa fragilità alternate a fermezze femminine con ammirevole senso recitativo, sostendendo assieme al co-protagonista tutto il preponderante peso assunto dal primo piano in questa pellicola. Così la suspence del respiro si fa soffocata (non solo) per l'aria rarefatta. Come un hitchcockiano "nodo alla gola" sotto forma di close-up.

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Titolo originale: id.
Regia: Wes Craven
Interpreti: Rachel McAdams, Cillian Murphy, Brian Cox, Tina Anderson, Jason Bartley, Guy Chapman
Distribuzione: U.I.P.
Durata: 85'
Origine: Usa, 2005

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