"The Door in the Floor", di Tod Williams

"La porta dentro il pavimento" sembra essere la variante di un altro evidente simbolo psicoanalitico, come la scala che scende nell'acqua. Ma tutto il mistero è in superficie, su quella parete in corridoio ricolma di ricordi in foto che segnano le sequenze del vero film: cammino della disperazione immortalata e pietrificata.

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Cinema che trova la sua traduzione in un rumore di qualcuno che cerca di non fare rumore. Una freccia esitante sul cruscotto della macchina che indica la svolta a sinistra: bisogna però prima spostarsi al centro dell'incrocio, prendere posizione, sbilanciarsi, guadagnare campo. Se non lo fai, crei intralcio, confusione. Ma anche se lo fai, non puoi aspettare che una luce faccia chiarezza sulla morte, sul dolore che pietrifica. L'incertezza di Tod Williams è più ostile della morte che rappresenta. La morte, anche se vasta, è soltanto la morte e non può crescere. All'incertezza invece non v'è limite. Trasporre il romanzo di John Irving, "Vedova per un anno", l'autore de "Il mondo secondo Garp" e "Le regole della casa del sidro", entrambi rappresentati al cinema, non è impresa agevole, considerando la non facile traduzione sul grande schermo della scrittura alquanto complessa e stratificata dell'autore americano. L'incertezza perisce per risorgere e morire di nuovo ad ogni fotogramma uniti tra loro da generi cinematografici soltanto accennati e mai espressi e dall'immortalità dell'indifferenza, ogni volta procurata dal desiderio mai convinto di coinvolgere. Freddo ed intellettuale, controllato da una razionale autorialità che si esprime sussurrando, esitando, prendendo fiato e ripartendo, questo cinema non da mai la sensazione di una sbandata, non conosce la solitudine dello spazio, la solitudine del mare e la solitudine della morte che tanto mostra. Il punto più profondo, la segretezza polare, è costituito da un'anima al cospetto di se stessa che Williams non riesce quasi mai ad avvicinare, e tanto meno a scalfire, nonostante il solito sublime Jeff Bridges.  Ted e Marion hanno perso i due maschi adolescenti  in un incidente d'auto, a ritorno da un week-end sulla neve. È rimasta la loro bambina di sei anni che comunque non ha impedito alla madre di morire dentro. Il padre riesce a sopravvivere grazie al lavoro, è scrittore di libri per bambini e si fa distrarre dalle modelle. Arriva il diciottenne Eddie come assistente di Ted. Marion, che trova in lui qualcosa di uno dei figli perduti, lo seduce. Tutto è conosciuto e sottaciuto, ma quando la bambina incappa per caso nella madre in pieno amplesso col ragazzo, Ted reagisce. Il rapporto è costretto a una risoluzione. Marion lascerà tutti, Ted perché ci sono troppi ricordi, Eddie perché era solo un sogno, la figlia perché sarebbe stata una pessima madre. La porta dentro il pavimento sembra essere la variante di un altro evidente simbolo psicoanalitico, come la scala che scende nell'acqua. Ma tutto il mistero è in superficie, su quella parete in corridoio ricolma di ricordi in foto che segnano le sequenze del vero film: cammino della disperazione immortalata e pietrificata. Sembra già passato tanto tempo dalla tragedia o invece è ancora troppo vicina per mostrarsi: è questa incerta distanza che si nutre bulicamente di dramma e di commedia provocandosi rigetto più che una agognata regressione rinnovatrice. È proprio il rumore di qualcuno che cerca di non fare rumore…

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Titolo originale: id.


Regia: Tod Williams


Interpreti: Jeff Bridges, Kim Basinger, Elle Fanning, Jon Foster, Bijou Phillips, Louis Arcella


Distribuzione: Eagle Pictures


Durata: 111'


Origine: USA, 2004

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