"Jarhead", di Sam Mendes

Durante il film si ha la netta impressione che non sia allora più possibile vedere, vedere veramente ciò che accade, come se lo sguardo fosse sempre già orientato, già preordinato da una memoria che lo condiziona. Una memoria cinematografica anzitutto, che non crea strumenti di visione, ma li oscura.

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Il sospetto si insinua sin dalla seconda inquadratura del film, una ripresa dal basso della camerata dove le reclute sono schierate sull'attenti di fronte al sergente addestratore. Immediata citazione di Ful Metal Jacket, rapida, evidente e inutile. Se c'è una cosa che manca nel cinema hollywoodiano di questi ultimi anni è la capacità di restituire visibilità ad uno dei conflitti più drammaticamente significativi della contemporaneità, quello nel Golfo Persico. Impresa difficile e importante perché, contrariamente a quanto accadde per il Vietnam, il cinema ha finora mancato al suo scopo di offrire un altro sguardo, altre immagini a quelle che hanno sommerso il conflitto e che sono state perlopiù appannaggio di altri media. Eppure Mendes lavora in Jarhead su una stratificazione di immagini (citazioni interne al film o riferimenti espliciti ad altri war movies del passato) e di suoni (la colonna sonora che interviene di continuo a commento di sequenze senza dialoghi, sugli spostamenti dei soldati dai campi di addestramento al fronte). Durante il film si ha la netta impressione che non sia allora più possibile vedere, vedere veramente ciò che accade, come se lo sguardo fosse sempre già orientato, già preordinato da una memoria che lo condiziona. Una memoria cinematografica anzitutto, che non crea strumenti di visione, ma li oscura. Lo spettacolo cinematografico di Apocalypse Now a cui i soldati assistono, la musica ricorrente – utilizzata sempre in senso ironico, come contrappunto sonoro – contribuiscono a creare non uno sguardo, ma un insieme di gag, pensate e strutturate già al livello della sceneggiatura. La scrittura del film passa in primo piano, mentre l'ambiente, il paesaggio rimangono indifferenti, sullo sfondo. Non ci si perde mai nel film perché tutto è già visto, anche se Mendes spinge il pedale dell'acceleratore in alcuni momenti, estendendo al limite la follia implicita della situazione vissuta dal soldato Jake Gyllenhaal. Ma la preoccupazione registica maggiore è quella di controllare la messa in scena, prolungando all'eccesso i momenti morti, le attese riempite con giochi camerateschi, chiacchiere, addestramenti e accompagnate da continui riferimenti ad altri film (Gyllenhaal in bagno di notte ricorda il suo personaggio in Donnie Darko, mentre la penombra e la posizione della macchina da presa riportano – ancora un volta – a Kubrick, alla sequenza del suicidio del soldato "palla di lardo").

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La struttura narrativa di Jarhead è dunque totalmente orizzontale: una serie di microeventi disseminati nel tempo che riguardano sostanzialmente un microcosmo (la compagnia del soldato Jake) che non vede al di là di sé. La macchina da presa – tranne che in alcuni brevi momenti – rimane attaccata ai personaggi, alla loro inquietudine senza nome. L'incontro con l'altro (la carovana di cammelli, avvistata dopo un'ora di film) avviene esplicitamente come in un miraggio, sfocato e visto da lontano.  Ciò che colpisce quindi è che sembra non esserci differenza tra questo conflitto (anche se stiamo parlando della prima guerra del Golfo) e tutti i conflitti moderni precedenti: "ogni guerra è diversa, ogni guerra è sempre uguale", dichiara alla fine Gyllenhaal/Mendes. L'intento è esplicitamente politico, ma non va oltre le intenzioni di partenza. Per Mendes, al di fuori delle immagini mediatiche, delle riprese agli infrarossi, dei servizi televisivi, ciò che rimane da vedere è solo una serie potenzialmente infinita di gesti senza senso, compiuti da uomini senza motivazioni, senza preoccupazioni ulteriori rispetto alla volontà di fare ciò che gli viene chiesto di fare, anche se rimane incomprensibile.

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Alla fine, anche per questo, ciò che rimane del film è il non evento, l'intenzionalità del regista a non mostrare nulla, perché nulla accade che non sia già visto e che nessuno (dai personaggi allo spettatore) è in grado di vedere. Mendes non crede nella possibilità del cinema di uscire dallo stato di cecità, lo dichiara sin dall'inizio e lo mantiene coerentemente fino alla fine. Proprio per questo il film rimane piccolo, senza scarti, senza un reale tentativo di sguardo.

Titolo Originale: Id.


Regia: Sam Mendes


Interpreti: Jake Gyllenhaal, Peter Sarsgaard, Lucas Black, Chris Cooper, Jamie Foxx


Distribuzione: UIP


Durata: 123'


Origine: USA, 2006

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