"Wallace & Gromit – La maledizione del coniglio mannaro", di Nick Park e Steve Box

La deliziosa grazia del sommo artigianato trova in una maniacale cura dei dettagli che s'impone ai nostri occhi una pudica "invisibilità" che si chiama pura naturalezza. Quando una materia simile al pongo che si chiama plastilina diviene, nelle mani di eccezionali artisti, come il fango plasmato da Dio nella Genesi…

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Fresco, anzi freschissimo di Oscar come miglior lungometraggio d'animazione, riconoscimento puntualmente raccolto come da programma al pari di quello a Seymour Hoffman/Capote come miglior attore protagonista, questo delizioso gioiellino (costato 5 anni di lavoro) della britannica Aardman animations, in sinergia col colosso d'oltreoceano ovvero la spielberghiana Dreamworks, sprizza meraviglie da tutti i pori dell'inerte plastilina che nelle mani di Park, Box e collaboratori diviene magico fango al quale la divinità artistica infonde vita come Dio nella Genesi. Basta soffermarsi sulla strabiliante espressività del cane Gromit, muto e senza muso, per comprendere il livello dell'animazione in campo. E ciò che maggiormente colpisce ancora una volta in questo artigianato sopraffino di Park & soci, dotato di un'anima pulsante come il cuore di un toro nel pieno della sua vis, è la semplicità col quale ci scorre innanzi agli occhi e al contempo ci travolge e ci rapisce irresistibilmente, con quell'ineluttabilità che appartiene all'infallibilità. Se negli States c'è la prodigiosa e digitale Pixar a dominare (ed ora più che mai nella nuova fusione Disney-Pixar) nella vecchia Europa abbiamo l'artigianale Aardman (che col tragico incendio nell'ottobre scorso del magazzino di Bristol contenente i materiali di scena di tutte le sue produzioni ha perso per sempre il suo preziosissimo archivio… sicuri, comunque che risorgerà, ora più che mai, dalle proprie ceneri come araba fenice…) e ce la teniamo ben stretta. Modernità e tradizione perfettamente distribuite sulle due "sponde" dell'Atlantico. Insomma, pirandellianamente, "a ciascuno il suo". Le causticità delle sublimi commedie british targate Ealing s'annodano con sorprendente fluidità con la gioiosità horrorifica del Landis di Un lupo mannaro americano a Londra e la carota d'oro penetra vorticosamente nell'aria verso il suo obiettivo come le pallottole dei Wachowski Bros. in Matrix e via ancora verso altri territori da omaggiare/riesplorare con altre angolazioni:

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L'ululato di Dante, il dualismo stevensoniano de Il dottor Jekyll e mr. Hyde, le soggettive in steadycam, la solitudine dell'anormalità insita nella "mostruosità" del Frankenstein di Whale e degli horror Universal anni 50 e il tema della fiaba di Madame Le Prince de Beaumont La bella e la bestia innervato in King Kong… Ma tutto questi (ed altri) mondi d'immutato fascino portati all'emersione con tale eleganza e creatività non traspirebbero oltre la garzosità del telo schermico verso di noi se non fossero "gonfiati" dal respiro di un ritmo d'ipnotica cineticità, grazie al montaggio di David McCormick e Gregory Perler, che rende vivi personaggi, psicologie e meravigliose scenografie (firmate da Phil Lewis) assieme ad una fotografia, affidata a Tristan Oliver e Dave Alex Riddett, di straordinaria qualità, capace di "ricordarsi" come si affievolisce lentamente lo stoppino di una candela spenta da un soffio di vento o che "odore" emana l'acciottolato bagnato dalla pioggia come in un palpabile fotogramma di un grande noir americano degli anni 40, rilanciando ulteriormente le schegge di folli e impazziti detour che animano il film e lo sospingono con terrificante e adorabile amorevolezza nel nostro sguardo e nei nostri cuori. "Per sempre" perché Wallace & Gromit – La maledizione del coniglio mannaro è esattamente come quei diamanti così pubblicizzati dal maggiore produttore al mondo della pietra che è "a girl's best friend".


 


 


Titolo originale: Wallace & Gromit: the curse of the were-rabbit


Regia: Nick Park, Steve Box


Distribuzione: U.I.P.


Durata: 85'


Origine: Gran Bretagna, 2005

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