15° Festival del Cinema Europeo di Lecce – Giorno 2 – Le Sbarre di Daniele Segre e quelle di Gerusalemme

Protagonisti di questa seconda giornata del Festival del Cinema Europeo di Lecce sono stati l’impegno e la testimonianza. Da una parte una riflessione sulla situazione della Palestina e del suo cinema (soprattutto al femminile) e dall’altra il documentario Sbarre realizzato da Daniele Segre insieme ai suoi studenti del CSC all’interno del Nuovo complesso penitenziario di Firenze.

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Protagonisti di questa seconda giornata del Festival del Cinema Europeo di Lecce sono stati l’impegno e la testimonianza. Infatti nell'ambito della sezione dedicata al Cinema Palestinese, presso la suggestiva sala Pignatelli del Castello Carlo V di Lecce, si è svolta una tavola rotonda dal titolo 'Palestian Cinema: Dreams of a Nation', alla quale avrebbero dovuto partecipare anche Mohammad Bakri, Michel Khleifi e Rashid Mashrawi che purtroppo non sono potuti essere presenti, a differenza dell'ambasciatrice della Missione Diplomatica Palestinese in Italia May Al-Kaila e della regista Sahera Dirbas. Due donne simbolo di quello che è stato poi il contenuto dei loro interventi: una riflessione storica sulla situazione della Palestina nel suo difficile rapporto con Israele, l’evoluzione del cinema palestinese e il fenomeno delle donne attive in quest’arte. L’ambasciatrice ha sottolineato come una delle voci della resistenza del paese sia la cultura.

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Pur essendoci una cinematografia palestinese già negli anni ’30, nel 1948 con la costituzione di Israele l’infrastruttura culturale palestinese è stata distrutta e dunque anche il cinema ha subito una fase di silenzio. I primi documentari hanno visto la luce dall’estero, nei luoghi in cui i registi si erano rifugiati, prima la Giordania, poi il Libano. Nel presente la situazione è cambiata, i registi girano in loco, pur sotto il peso dell’occupazione, si pensi a Nozze in Galilea di Khleifi.

Sahera Dirbas a sua volta ha ripercorso gli sviluppi del cinema palestinese con particolare attenzione alle donne. La regista personalmente segue un gruppo di 15 donne registe – e ci ha tenuto a sottolineare anche la presenza di persone religiose. Del 2006 è il suo primo film Uno straniero a casa mia, poi ha realizzato La sposa di Gerusalemme sulla routine della sua città, la cui parte Est è “riservata” ai palestinesi. La regista ha anche sottolineato come progressivamente stiano sorgendo delle società di produzioni indipendenti dall’estero e dalle coproduzioni in modo tale da non avere alcun tipo di vincoli.

 

Lontano chilometri ma affine in quanto testimonianza di umanità ferita e lotta è il Nuovo complesso penitenziario di Firenze protagonista di Sbarre, film frutto di un laboratorio didattico realizzato da Daniele Segre insieme ad alcuni degli allievi dei corsi di regia, sceneggiatura, suono e montaggio del Centro Sperimentale di Cinematografia.

Caterina D’Amico ha ripercorso quella che è stata la genesi del film, e cioè l’invito da parte di una radio a documentare un evento che si sarebbe tenuto nel carcere e che poi è diventato soltanto un pretesto per realizzare delle interviste ai detenuti, confluite nel prodotto finale.

I tempi di realizzazione sono stati molto stretti: 10 giorni di preparazione e 4 giorni di ripresa, con la speciale possibilità di girare senza la presenza delle guardie nella stanza.

Segre ha raccontato, da una parte, di aver sensibilizzato gli studenti all’idea di un’intervista narrativa superando le convenzioni televisive della messa in spettacolo della sofferenza, e dall’altra di aver sottoposto i detenuti al 'trattamento Segre' che serviva a far capire loro il tipo di progetto in atto che quindi non avrebbe dovuto assumere le caratteristiche di un piagnisteo rivendicativo ma esser caratterizzato dalla consapevolezza adeguata, per gestire se stessi in quanto pensanti e non solo emozionanti ed emozionati. In generale si è sottolineato il valore sociale del cinema, dell’educazione e del suo stesso insegnamento.

Il risultato finale è una raccolta di testimonianze che seguono un percorso di argomenti: dalla descrizione di come si vive nelle stanze, a quella dei rumori quotidiani ormai perfettamente riconoscibili, al modo in cui i detenuti degli opposti sessi comunicano da un padiglione all’altro attraverso una speciale via di comunicazione fatta da movimenti di tessuti bianchi dalle finestre, alla situazione delle guardie, alle prospettive future, alla questione del lavoro ecc. Al di là di alcuni suggestivi totali sulle finestre dei padiglioni il film è una sequenza di primi piani che evidentemente e giustamente hanno finito per imporsi nella fase di realizzazione visto la loro potenza cinematografica e soprattutto umana.

In questa giornata, inoltre, si è reso omaggio ad Arnoldo Foà, attraverso delle letture e con il documentario di Cosimo Damiano Damato Io sono il teatro – Arnoldo Foà raccontato da Foà.

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    Un commento

    • Ascolillo maria Carmela

      E' da apprezzare l'insegnamento della sofferenza del carcere raccontata in un film. complimenti