LIBRI DI CINEMA – "Jean Renoir. L'inquietudine del reale" di Daniele Dottorini

Jean Renoir. L’inquietudine del reale - di Daniele Dottorini La sperimentazione delle potenzialità dei mezzi tecnici, l’amore per i trucchi, la geometria delle dissimulazioni e dei desideri umani lanciati contro il destino come un treno in corsa, tutto concorre in Renoir a lasciar parlare lo spazio perturbante della realtà, in un continuo flusso acquatico che attraversa i suoi film. E quel carattere di familiarità, di cui parlava Truffaut, che vi si ritrova, è una scintilla, particolarmente spiazzante, di una vita “che scorre, attraverso le fenditure che incrinano le regole e che lasciano emergere la verità dei corpi”. Edizioni Fondazione Ente dello Spettacolo.

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Jean Renoir. L’inquietudine del reale - di Daniele Dottorini  JEAN RENOIR. L’INQUIETUDINE DEL REALE

Daniele Dottorini

Edizioni Fondazione Ente dello Spettacolo

Finito di stampare nel mese di novembre 2007

Pag. 174 – 12,90 euro

 

 

 

 

 

 

 

Nel ritratto dell’artista da cucciolo di Jean Renoir leggiamo il suo stupore di fronte al primo spettacolo, 1903: ma “i bambini, come i selvaggi, si abituano molto presto al cinema” e presto lo stupore si tramuta in irrefrenabile voglia di fare, di trucchi e artifici, tesi non già a costruire un processo mimetico della realtà, ma a svelarne l’essenza frastagliata, in cui partecipano più istanze, compresa quella fantastica e fiabesca. Uno sguardo che contribuirà a forgiare l’idea moderna di cinema: la natura fantasmatica dell’immagine filmica, il suo essere spettro materiale e immateriale; l’ invisibilità e visibilità, imprendibili, che costituiscono il suo fascino. Il continuo fluire delle sue opere non è solo cifra stilistica ma illustra l’“elaborazione di un mondo e di un pensiero”, in cui non solo si anticipa già l’insensatezza dell’opposizione tra reale e onirico, ma più si indaga la realtà, più essa si incrina nelle sue sfumature misteriose e sfuggenti, e quel carattere di familiarità, comune a tutti i film di Renoir, di cui parlava Truffaut, è una scintilla, particolarmente spiazzante, di una vita “che scorre, attraverso le fenditure che incrinano le regole e che lasciano emergere la verità dei corpi” (p. 118). Del ritratto di Renoir che emerge dal testo colpisce subito la frenetica e curiosa sperimentazione delle possibilità dei mezzi tecnici e di un linguaggio filmico partecipe del suo tempo e insieme distaccato dalle contingenze del presente: un flusso acquatico che è presenza ossessiva, paesaggio in scorrimento come è il paesaggio interiore, specchio al tempo stesso del rapporto del Renoir regista con le immagini – pronto, pur consapevolmente, ad abdicare al controllo nel nome di un’eccedenza che si muove soltanto sotto uno sguardo assetato, deleuzianamente, di catturare il movimento che eccede i limiti del quadro; e della qualità del cinema: “realtà e artificio, vita e messa in scena, controllo e deriva” : il flusso, ma anche il suo piano opposto, l’apertura e la chiusura, che non si muovono secondo opposizioni dialettiche, ma sono compresenza di opposti: una pluralità; con Jean-Luc Nancy, per cui la singola esistenza è in comune con le altre, la co-esistenza dis-pone insieme le esistenze (pp. 64-65). L’immagine per Renoir cova nella compresenza di un luogo reale e fantastico; non solo, come nelle sue parole, inserisce gli “elementi fiabeschi nelle circostanze del più banale quotidiano”, ma si spinge volentieri oltre la contrapposizione tra queste dimensioni, come spiega mirabilmente Dottorini raccontando una sequenza di La donna sulla spiaggia, pervasa da una sensualità misteriosa e allusiva che pervade corpi e luoghi, “non mostra il realismo della narrazione che si oppone al fantastico del sogno, ma è già la realtà stessa che si svela come perturbante, luogo apparentemente conosciuto eppure denso di mistero e di segreti”.

Certi aspetti del suo cinema: “la cattura di inquadrature rubate, casuali, quasi documentaristiche […] i movimenti di macchina, i piani sequenza esibiti, il movimento fluido e continuo della macchina da presa”, che hanno fatto parlare di Renoir come precursore del neorealismo, vengono qui indagati dall’autore, superando con determinazione ogni facile etichetta critica, attraverso l’analisi di un peculiare tipo di realismo, quello di Renoir cineasta, che non si limita a descrivere un ambiente, ma opera su spazi palesemente artificiali trasformandoli in un “laboratorio di parole e relazioni”, come nel puntuale esempio di confronto spaziale tra i due film, di Renoir e Kurosawa, che attingono diversamente dallo stesso testo.

Ma del reale emerge l’inquietudine: la tensione della natura sensuale e non domata de La scampagnata; il percorso di Renoir attraverso gli anni ’30; La grande Illusione e L’angelo del male come tappe di una visione che si sporge sempre più verso l’immagine perturbante che restituisce la realtà,  che contiene violenza e follia, la vita come “un gioco d’equilibrio tra forze di mascheramento e di svelamento, tra pulsioni reali e illusorie, auto-accecamenti e visioni improvvise, come sarà poi esplicitato ne La regola del gioco” (p. 81). In particolare L’angelo del male, seconda trasposizione da Zola dopo Nanà, viene raccontato dall’autore nel senso sepolto nel titolo originale di film e romanzo: La Bête humaine. La figura di un treno ora follemente veloce, ora lento, parla delle pulsioni e dei desideri umani scagliati in corsa verso un destino eminentemente tragico, come nella grecia antica, e lo scopo non è tanto metterli in evidenza secondo una struttura narrativa, quanto catturarli come sintomi di un reale che respira oltre la sua manifestazione quotidiana, dove non soltanto “l’invisibile diventa visibile”, ma “[…] dall’altra parte, il visibile stesso – la realtà, gli oggetti materiali, i corpi, gli esseri, le cose – si dona allo sguardo come qualcosa che travalica se stesso” (p.86) : ecco la modernità del cinema di Renoir.Renoir - l'angelo del male

Ancora, il movimento: che è quello geometrico di La regola del gioco, in cui la tensione passionale, le dialettiche del potere, le trasformazioni, le dissimulazioni e il gioco sociale delle parti, la componente musicale della “fuga” barocca, in cui le linee melodiche si sovrappongono vertiginosamente, le strutture architettoniche contorte, in cui lo spazio si moltiplica, esplorate da carrelli, panoramiche, movimenti circolari, tutto concorre a disegnare uno spazio perennemente agitato e tragicomico, se sotto le movenze della macchina da presa i personaggi vivono vite veloci dentro spazi concitati, ma ci fanno sorgere il dubbio tutto inquietante della natura farsesca e necessariamente automatica delle loro azioni: in questo senso l’autore parla dell’opera di Renoir come di puro cinema, “una forma che non ha paura di svelare, immergendosi al suo interno e scoprendone gli intimi movimenti, l’inquietudine di un reale che si mostra in tutta la sua finzione”. (p. 93).

Si esplora poi l’ultima fase del cinema di Renoir, che se per una posizione critica diffusa si allontana completamente dalle opere degli anni ’30, lascia emergere, ancora, in modo manifesto,  anche nei lavori televisivi, un equilibrio tra elementi divergenti che si esprime in una scissione (scissione, mai pacificata in sintesi, mai declinata solo verso Apollo o Dioniso, tra due forme necessarie che galoppano insieme fino alla morte, in Il testamento del mostro; scissione della natura stessa che, imprendibile, esplode di vitalità in Picnic alla francese).

Particolarmente seducenti sono i momenti in cui il discorso teorico del libro osserva quello che è “sviluppo in chiave cinematografica di un’idea pittorica” (come con i profondi “attraversamenti” di David Lynch. Il cinema del sentire, Le Mani, 2004, dello stesso autore); “tagli” concettuali ai quali non è riservato uno spazio apposito, ma che rivelano come più che far riferimento all’artista di turno – Manet, o l”altro” Renoir: Pierre-Auguste – anche quando intervengano il romanzo, il teatro, e soprattutto il quadro, come materia prima culturale, il “sommozzatore” Renoir vi si immerga soltanto per creare con estrema libertà un mondo che vive di vita propria.

Chiudono il volume tre sequenze da tre film, anch’esse concepite come un’incursione diretta nei corpi e nei colori che li animano, le schede curate della filmografia e una bibliografia essenziale.

 

 

INDICE

 

I   Il teatro della vita   pag. 9

 

1.1   Ritratto di un artista da giovane  p. 9
1.2   La Francia del Fronte Popolare p. 17
1.3   L’immagine della realtà p. 21
1.4   L’esilio e il viaggio delle immagini p. 24

 

II   Il flusso, la regola, il corpo   pag. 29

 
2.1.  Renoir, il cinema  p.

2.2.  Il laboratorio delle forme  p.

2.3   Il movimento del tratto: il chiuso, l’aperto  p.

2.4   Libertà del fluire/filmare  p.
2.5   La comunità degli uomini  p.
2.6   Lo sguardo di Henriette: l’uomo, la macchina, la natura  p.
2.7   Geometria delle passioni: La regola del gioco  p .

2.8   Il nuovo mondo (del cinema)  p.

2.9   Il teatro della memoria  p.

2.10 Il desiderio come regola  p.

 

III   Tre sequenze   pag. 119

 

3.1         La regola del gioco: di alcune danze e di un requiem  p. 119

3.2         Boudu salvato dalle acque: il corpo e l’intrusione  p.128

3.3         Picnic alla francese: la pittura in movimento  p.135

 

Filmografia   p.141

Bibliografia essenziale  p. 167

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