LIBRI DI CINEMA – “Il passato nel cinema contemporaneo”

il passato nel cinema contemporaneoPerché tornare oggi a ragionare sul passato? Perché se da sempre il cinema intrattiene con esso un rapporto privilegiato, diviene primario interrogarsi su come questo legame venga declinato nella contemporaneità, alla luce della rivoluzione digitale e delle profonde mutazioni in atto. Attraverso un’ampia varietà di approcci e punti di vista, questa raccolta di saggi vuole porsi come riflessione sulle presenze di passato nel cinema odierno. Bulzoni Editore.
 
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Il passato nel cinema contemporaneo

 

 

Il passato nel cinema contemporaneo
A cura di Giulia Fanara
Bulzoni Editore
2013
pp. 224 – € 16
 
 
 
Il cinema nuovo che nasce in Francia alla fine degli anni ’50 è, insieme, un cinema ricolmo di passato; a quell’universo indelebilmente segnato dalla nostalgia per un’epoca che non esiste più – scrive nell’introduzione Giulia Fanara, docente di Storia del Cinema presso l’Università La Sapienza di Roma – avrebbero guardato nel corso di quel decennio e degli anni ’70 le nouvelles vagues di tutto il mondo, così come i cineasti delle generazioni successive. Perché tornare allora oggi a ragionare sul passato? Perché se da sempre il cinema intrattiene con esso un rapporto privilegiato, diviene primario interrogarsi su come questo legame venga declinato nella contemporaneità, alla luce della rivoluzione digitale e delle profonde mutazioni in atto. Attraverso un’ampia varietà di approcci e punti di vista, questa raccolta di saggi vuole porsi come riflessione sulle presenze di passato nel cinema odierno.
 
 
Ad aprire il volume è, non a caso, l’esplorazione del muto contemporaneo, che il successo di The Artist ha portato all’attenzione del pubblico ma di cui vi sono significative espressioni nel cinema d’autore degli ultimi vent’anni. Al celebrato film di Hazanavicius, che racconta il cinema muto nel momento della transizione al sonoro, ponendosi anche come analisi del fenomeno del divismo, l’autrice (Eleonora Sammartino) accosta Brand Upon the Brain! A Remembrance in 12 chapters di Guy Maddin, evidenziandone i rimandi a Griffith e alle teorie sovietiche del montaggio, e La antena di Esteban Sapir, costruito su quei medesimi espedienti che nel muto tentavano, attraverso la luce e la gestualità degli attori, la visualizzazione del suono.
Se la rinnovata attenzione all’infanzia del cinema è tratto distintivo dell’attuale dimensione autoriflessiva e autoreferenziale del medium, altrettanto lo è la metabolizzazione del passaggio dall’analogico al digitale, al centro dei due successivi contributi (di Vincenzo Tauriello e Pietro Masciullo): da un lato l’esibita consapevolezza critica riguardo la mutazione delle immagini in movimento, che riflette sullo statuto del supporto e della produzione delle stesse, in rapporto tanto alla creazione dell’immaginario (si pensi a quella sorta di contro-storia del cinema americano che in Be Kind Rewind si realizza grazie alla pratica del remake) che alla capacità delle immagini di porsi ancora come impronta primaria della realtà fenomenica (in questo senso, Road to Nowhere mette in scena la difficoltà di accedere, nell’epoca digitale, ad alcuna verità intellegibile tramite il senso della vista); dall’altro il superamento del trauma di quella mutazione, che il cinema americano tenta attraverso la contaminazione con la nuova frontiera del visibile e allo stesso tempo la conservazione di caratteri distintivi narrativo/compositivi bagaglio della propria storia. Ecco allora che un film sull’atto del vedere come Avatar si conclude (r)assicurandoci di poter ancora guardare, mentre gli universi paralleli di Sucker Punch pongono il quesito “su chi possa ancora guardare” (significative, in merito, le osservazioni sui new media, ormai in grado di avocare il regime dello sguardo in luogo dei personaggi).
 
Degni di nota tra i vari contributi – in cui trovano spazio riflessioni sulla rappresentazione del corpo performante in scena nelle sue infinite reincarnazioni (Il Cigno Nero di Aronofsky) o sulle continue contaminazioni tra paesaggio e memoria, tra presente fisico e passato mitico che attraversano tanto il cinema messicano, segnato dall’idea di confine, che quello australiano, dove il passato si configura come un tempo marcato dall’assenza –, ci sembrano infine l’analisi della dimensione metacinematografica del set nell’opera di Tsai Ming-liang (Giulio Casadei), come luogo di resistenza al reale dove trova ancoraggio un’umanità smarrita, preda di una realtà soggetta a continue e incontrollabili trasformazioni, e la conclusione (di Giulia Fanara) che ritorna alla lanterna e al buio nella Genesi a rovescio de Il cavallo di Torino; buio quale fine del mondo così come lo conosciamo, o quale unica condizione in cui possa esserci restituita la vista.
 
 
 
 
Indice
 
Introduzione, Giulia Fanara
Il cinema ritrovato: il muto contemporaneo tra rielaborazione di miti e modelli, Eleonora Sammartino
Post-Cinema (USA) allo specchio: tra fabulazione cristallina del mondo analogico (Be Kind Rewind) e iperrealtà delle biopictures (Road to Nowhere), Vincenzo Tauriello
Dalla sintesi del corpo alla ri-soggettivizzazione dello sguardo: “Nascita di una Nazione Digitale” nel cinema americano contemporaneo, Pietro Masciullo
Dentro lo specchio del lago: tradizione e incantesimi contemporanei ne Il Cigno Nero di Darren Aronosfky, Alessandra Caputo
Il Messico guarda, il Messico è guardato: sulla soglia e gli sconfinamenti di una cinematografia al confine con Hollywood, Mariagiovanna Puglisi
Il “grande vuoto”: passato mitico e paesaggi (in)contaminati nel cinema australiano, Lorenza Rallo
Il cinema è infestato dai fantasmi: il set come (ultimo) luogo di (r)esistenza nell’opera di Tsai Ming-liang, Giulio Casadei
Berlusconismo cinematografico: indagine su un immaginario al di sopra di ogni sospetto, Tommaso Ceruso
Il cavallo e la lanterna. A Torinói ló di Béla Tarr e Ágnes Hranitzky(2011), Giulia Fanara
Filmografia

 

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