LIBRI DI CINEMA – L'era Postdocumentaria, di Ivelise Perniola

l'era postdocumentariaIl documentario è morto? Per Ivelise Perniola, autrice dell’interessante e provocatorio L’Era Postdocumentaria edito da Mimesis edizioni, sembrerebbe proprio di sì. Partendo dalle teorie dei più importanti studiosi e filosofi del Cinema per arrivare alla situazione nazionale, emerge un quadro evidente di come gli attuali documentari siano post-documentari, ovvero prodotti ibridi profondamente soggetti ad interventi esterni così da vedere totalmente compromesso il concetto di unità dell’opera d’arte, di integrità e di rispetto dell’autore, dal punto di vista creativo e anche legale.

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L’ERA POSTDOCUMENTARIA

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di Ivelise Perniola 

Mimesis Edizioni

pp 183 Euro 16

 

 

 

Negli ultimi anni si è fatto sempre più acceso il dibattito sul ruolo del documentario e sul suo potere rappresentativo della realtà. Con il suo L’Era Postdocumentaria pubblicato da Mimesis Edizioni, Ivelise Perniola, professore associato presso il Dipartimento di Filosofia Comunicazione e Spettacolo dell’Università degli Studi Roma Tre, sottolinea non solo la fine della forma documentaristica ma anche la morte della realtà, fagocitata dall’universo mediatico della rete.

La prima parte del libro presenta in maniera dettagliata i presupposti che stanno alla base delle diverse linee di tendenza, storiche e teoriche: come e quanto il pensiero iconoclasta di Vertov, la realtà ontologica di Bazin, la semiotica di Metz, hanno influenzato lo sviluppo e il linguaggio del documentario? Dziga Vertov sembra l’autore che più di tutti anticipa il pensiero postmoderno dichiarando la negazione del valore affabulatorio dell’immagine, la cecità del cine-occhio che per troppo desiderio di guardare alla fine non vede alcunchè, arrendendosi alla irrappresentabilità del reale. Cineasti come Derek Jarman, Brian De Palma e Claude Lanzmann hanno fatto di questa iconoclastia la colonna portante della loro presa di coscienza sulla bugia primordiale di ogni fotogramma, sulla falsità dell’immagine cinematografica.

In posizione diametralmente opposta troviamo Bazin che afferma che il cinema è ontologicamente realistico: il realismo si produce dalla sinergia tra l’artista e la materia che si trova ad elaborare e cadono le differenze tra finzione e documentario, rimangono solo diversi gradi e forme di realismo. Metz porta il discorso sulla fruizione del pubblico e sulla sua risposta al materiale filmico: la risposta documentaria è quella nella quale l’immagine viene percepita come significante di ciò che essa sembra rappresentare; un film documentario è un film che cerca, in ogni modo, di suscitare questa risposta.

Ivelise Perniola prosegue il suo discorso teorico proponendo la classificazione di Guy Gauthier sulle otto forme diverse di documentario (documentario conviviale, dialogico, distanziato, critico, d’interpellazione, il saggio documentario, la favola documentaria e il documentario mosaico) e riportando all’attenzione del lettore gli interessanti concetti filosofici di Francois Niney intorno alla ricerca dell’oggettività portata avanti da vasti gruppi di documentaristi e che vede il suo paradossale apogeo nella asettica registrazione di una telecamera di sorveglianza, con il massimo dell’oggettività e il minimo di significato (ma Redacted di Brian De Palma pone in forte dubbio anche questo assunto). La prima parte del libro si conclude con la classificazione dello studioso Bill Nichols del documentario in cinque categorie fondamentali: modalità espositiva, osservativa, interattiva, riflessiva e infine quella performativa che predilige la dimensione affettiva tra il testo e lo spettatore. Questa schematizzazione si presta naturalmente a diverse critiche e Stella Bruzzi, professoressa dell’università di Warwick, all’opposto di Nichols considera il documentario tout-court come uno strumento ideale per cogliere la verità di una performance che si snoda, sempre e comunque, davanti alla macchina da presa e che da essa è esplicitamente guidata.

 

La seconda parte del libro si apre con un’ampia disanima sulla parabola di Michael Moore che utilizza il documentario come uno strumento di autopromozione, tipico prodotto della società dello spettacolo che trasforma il regista in “star-director” fino alla involuzione delle ultime opere (Sicko del 2006 e Capitalism: A Love Story del 2009), nella demagogia e nella strumentalizzazione del dolore di matrice televisiva. Questa influenza della società mass mediatica sugli autori del documentario si estende anche più recentemente agli autori italiani che portano sul grande schermo i meccanismi retorici che intendono stigmatizzare. L’esempio di Sacro GRA di Gianfranco Rosi, vincitore del Leone d’Oro a Venezia, è esemplificativo di questa particolare contaminazione: per la Perniola questa vittoria non sembra indicativa di una eventuale ripresa del settore documentario in Italia, al contrario pare un ulteriore elemento che ne ratifica la fine, assorbito ormai nel linguaggio inespressivo della televisione generalista. Due diverse categorie di documentario si sono sviluppate recentemente sia a livello nazionale che internazionale: il documentario biografico (sulla propria vita o su quella di personaggi illustri) e quello metacinematografico (su un regista, su un attore o sulla lavorazione di un particolare film). Nella prima categoria degli “home movies”, viene ricordato lo stupendo Un’ora sola ti vorrei di Alina Marrazzi, che riesce a coniugare magistralmente la tragedia di una vicenda autobiografica con l’oggettività di una astrazione poetica dal valore anestetizzante. Nell’ultima parte del libro viene presentato lo stato dell’arte del documentario italiano, dagli epigoni di Michael Moore che si sviluppano sul Berlusconi-brand (Sabina Guzzanti, Erik Gandini, Roberto Faenza, Enrico Deaglio e tanti altri), al Report brand, al Piero Angela brand, al Mockumentary, fino al neoverismo ossia quella corrente che non prevede aperture nei confronti di un reale che ritiene perfettamente spiegabile attraverso i fenomeni che si producono attraverso i mass media. Agli autori neoveristi non interessa la relazione con il mondo, ma soltanto la ratifica della propria posizione, che avviene quasi sempre lasciando il mondo circostante sulla soglia della loro ricerca. Da questo enorme calderone della società dello spettacolo, emergono per originalità e sensibilità Agostino Ferrente e Giovanni Piperno (Le cose belle 2013), Gianfranco Pannone (Latin/Littoria 2001, Il sol dell’avvenire 2008), Daniele Incalcaterra (El Impenetrabile 2012), Stefano Petti e Alberto Testone (Fatti Corsari 2012), Costanza Quatriglio (Terramatta 2012), Alina Marazzi (Un’ora sola ti vorrei 2002) e Daniela De Felice (Casa 2013). Ma la conclusione inevitabile a cui arriva la Perniola è quella della morte del documentario. “Quelli che vediamo attualmente non sono più documentari, sono post-documentari. Il documentario è entrato in una fase di superamento totale delle proprie strutture, sino a trasformarsi in qualcosa di altro ovvero un prodotto così profondamente soggetto ad interventi esterni, di azionisti pubblicitari, di attivisti, di semplici utenti esterni da vedere totalmente compromesso il concetto di unità dell’opera d’arte, di integrità e di rispetto dell’autore, dal punto di vista creativo e anche legale.Nell’era della globalizzazione e della moltiplicazione iconica attraverso la televisione e internet, l’immagine democratica semplicemente non esiste.

 

INDICE

 

Nota introduttiva p 7

PARTE I TEORIE

1. Dziga Vertov: La strada dell’iconoclastia p 13

2. Andrè Bazin: La strada dell’oggettività p 31

3. Christian Metz: La strada del pubblico p 41

4. Guy Gauthier e Francois Niney: la strada della Tassonomica p 49

5. Stella Bruzzi vs Bill Nichols: la strada della performance p 59

 

PARTE II L’ERA POSTDOCUMENTARIA

1. Michael Moore: Nascita della star-director p 71

2. Il documentario di fronte alla fine della realtà: Da Wiseman Al Grande Fratello andata e ritorno p 87

3. Nostalgia del sé e nostalgia del set: due tendenze transnazionali p 101

4. Neoverismo Italiano. Da Viva Zapatero a Sacro Gra p 115

 

EPILOGO

1. Le Tematiche. Storie di Carcere, Scuola e Immigrazione p 141

2. Al di là e al di qua dello schermo: Le scuole di cinema documentario in Italia dagli anni 80 ad oggi p 149

3. L’Era You Tube e la fine (vera) dell’autore p 157

BIBLIOGRAFIA p 169

ELENCO DEI FILM CITATI p 175

INDICE DEI NOMI p 179

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