150 milligrammi, di Emmanuelle Bercot

Tra ricerca spasmodica dell’empatia dello spettatore e senso popolare dell’intrattenimento impegnato. Negli istanti di maggiore efficacia, è difficile non restarne coinvolti

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C’è una sequenza in cui Irène Frachon è talmente accalorata dalla conversazione che sta avendo al cellulare da continuare a girare in tondo tra i vetri di una porta girevole senza trovare il modo e la consapevolezza per uscire dalla spirale: oltre a veicolare una chiara metafora sulla vicenda esistenziale della protagonista e sul suo carattere indomabile e cocciuto, la scena racconta perfettamente la concezione di cinema di Emmanuelle Bercot, costantemente esagitato e sempre sul punto di perdere il controllo girando intorno ai personaggi senza posa, ma sempre con un afflato sinceramente appassionato.
150 milligrammi vede la Bercot tornare nei territori del pamphlet già bazzicati per Student Services, con l’usuale mix tra ricerca spasmodica dell’empatia dello spettatore – stavolta davvero per struttura e modalità assimilabile a certo cinema mainstream hollywoodiano (che sia la reale ambizione nascosta d’approdo della cineasta?) – e senso popolare dell’intrattenimento impegnato, puntualmente dalla parte giusta (in altre parole, lo script di Polisse, davvero ancora il paradigma più esplicito della scrittura della Bercot).
Chi guarda con sospetto questa formula di narrazione tutta votata a svecchiare i procedimenti di coinvolgimento epidermico più classici attraverso espedienti “contemporanei” come il trattamento del look di immagine, montaggio ecc e una colonna sonora up to date, troverà pane per i suoi denti in questo racconto della battaglia di una coriacea dottoressa di un piccolo ospedale bretone contro la multinazionale del farmaco Mediator, medicinale per la perdita di peso nei pazienti diabetici responsabile di un numero di morti vicine al migliaio prima di essere ritirato dagli scaffali nel 2009.

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150 milligrammi Sidse Babett Knudsen Benoît MagimelLa Bercot trova nella figura pubblica della dottoressa Frachon, personaggio noto ai francesi per via di numerose apparizioni in tv, radio, giornali ecc, e autrice del libro alla base del film e dello scandalo farmaceutico, Mediator 150 mg: Combien de morts?, un nuovo ritratto per la sua galleria di donne forti, spigolose, trascinanti, emancipate e fondamentalmente imbattibili, e 150 milligrammi si gioca com’è intuibile tutto sulla caratterizzazione ostinata dell’inarrestabile Sidse Babett Knudsen, nel cui sguardo insieme dolcissimo e risoluto è contenuto tutto il meglio del cinema di Bercot, che conferma la grande capacità di saper portare le proprie interpreti sul filo costante del punto d’ebollizione.
Il resto del cast è così costretto a tenere il passo, ma la scena è soprattutto per i personaggi femminili sfaccettati (oltre a Irène, le sue figlie, le amiche dell’ospedale, le pazienti, la giornalista, la dottoranda, la sostenitrice in commissione…), a cui fanno da controcampo maschi dal carattere ben meno esclamativo come il ricercatore del sodale Benoît Magimel, o il marito della dottoressa, e i ruoli secondari di “amici” registi che fanno capolino, come Eric Toledano e Gustave Kervern.
Quello della Bercot è sicuramente uno sguardo entusiasta di utilizzare tutte le armi a disposizione del cinema per storie di edificante umanità a testa alta: negli istanti di maggiore efficacia, è sicuramente difficile non restarne sinceramente travolti.

Titolo originale: La fille de Brest

Regia: Emmanuelle Bercot

Interpreti: Sidse Babett Knudsen, Benoît Magimel, Charlotte Laemell, Isabelle De Hertogh, Lara Neumann

Distribuzione: Bim

Durata: 128′

Origine: Francia 2016

 
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