SPECIALE "Cinderella Man": Per un "nuovo" cinema conservatore

La rivoluzione Howard la fa attuandola nella conservazione, certo, nelle forme di un grandioso cinema conservatore. Perché fa pesare come quasi nessun altro cineasta oggi il peso delle cose, il loro assoluto valore, la loro urgenza, la loro importanza.

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"Per cosa combatti? Per il latte…"

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Alla domanda (peraltro geniale) di uno dei soliti giornalisti che si assiepano alle conferenze stampa, Jimmy Braddock risponde così. Il latte. Ma avrebbe potuto rispondere: per una bistecca, per la luce, per il calore con cui combattere l'inverno. No, lui risponde per il latte, che è come dire per tutte queste altre cose messe insieme. Ovvero, alimenti, bevande, cose sostanziose e nutrienti che aiutano a crescere, che irrobustiscono, che fanno sentire il sapore di casa. Di famiglia. Braddock combatte per il latte, dunque per la famiglia. Equazione semplice, elementare, primitiva, come le cose più belle e sofferte. Banali quasi, ma autentiche, reali, perché strappate dal grembo della vita e messe lì, in bella mostra, sullo schermo. Sangue al sangue, sofferenza, lacrime e sudore, ma poi, una volta spente le luci, non si resta mai soli perché in fondo alla notte, nel cuore della tenebra che inghiotte ogni uomo nella sua vita, c'è sempre una casa da ri/varcare, uno sguardo in cui ri/imbattersi, una responsabilità di cui farsi carico. La moglie, i figli, la loro crescita, il loro mantenimento. La vita in fondo è questa, come il cinema, anzi, come il cinema di Ron Howard. Roba elementare, ma tanto, tanto difficile da filmare. E già perché non c'è sperimentalismo o innovazione tecnica che tenga, non c'è costruzione, non c'è preparazione. Una famiglia è una famiglia. Occhi, volti, sguardi, tenerezze, frustrazioni, incazzature, e poi amore, che non è mai facile da rendere, anzi, da trasmettere, perchè ci vuole coraggio e follia (oggi, in special modo) a fissarsi così tanto proprio su questo equilibrio che regge e governa il mondo, su un padre che non sa più assicurare una vita decente ai figli, su una madre che deve sforzarsi di non sprofondare sotto terra e che soppesa il cibo, coppia e incolla briciole e rimasugli e continua a fare miracoli per mangiare, ma soprattutto per far mangiare. Lei, come Braddock, il marito. Se non fosse per la boxe, Cinderella Man potrebbe benissimo essere (anzi, è a tutti gli affetti) un frastornante affresco sulla sopravvivenza dell'uomo, un delirio di frasi vecchie come il mondo, di valori più vecchi ancora, di situazioni che generalmente fanno gridare alla retorica, con estremo disappunto degli intellettuali a la page che si sentono offesi nel profondo al suono di parole come famiglia, onore e similia.

Cinderella Man non è senza dubbio un film per loro. Perché non filma ribellioni e non accende la miccia in casa, ma fuori, sulla strada, ben lontano dal focolare domestico. Ci vuole molto coraggio, ebbene sì. Perché oggi è molti più semplice sparare contro la croce rossa e illudersi di stare dalla parte del giusto. E' semplice filmare j'accuse contro l'istituzione familiare, ancora più facile andarci a trovare del marcio a tutti i costi e in tutti i modi (ultima in ordine di tempo la Comencini di La bestia nel cuore). I nostri cari vecchi soloni, travestiti da maestri di pensiero, ci hanno insegnato a sputare contro i padri e a rivoltarci contro le madri, Howard ci chiede, sommesso, di fare il contrario, ribaltando di trecentosessanta gradi il nostro asse visivo, facendo tabula rasa di tutto quell'odioso conformismo che ci circonda oggi. E lo fa con atti fuori dal tempo, con gesti dichiaratamente fuori moda, ma autenticamente rivoluzionari, come quello che accende la sequenza più bella dell'anno, quella mano di Braddock che va a posarsi sul braccio della moglie, facendole capire che la sua carne deve andare alla figlia, e già perché lui è sazio dopo aver sognato di rimpinzarsi con due bistecche e tre porzioni di gelato. Poesia pura, quadrata e semplice, molto semplice. La felicità, quell'isola senza nome che tutti noi cerchiamo, non è nella fuga, nella centrifuga degli affetti, ma nella presenza di chi resiste accanto ai propri figli, negli occhi della propria moglie, continuando a sognare e ad insegnare l'umiltà e la correttezza, a costo di sputtanarsi con gli amici  o con i superiori (la sequenza della colletta è da brivido, lungo, eccitante, estenuante). La rivoluzione Haward la fa attuandola nella conservazione, certo, nelle forme di un grandioso cinema conservatore. Perché fa pesare come quasi nessun altro cineasta oggi il peso delle cose. La tavola apparecchiata col necessario, quel letto in cui dormono i tre figli di Braddock, persino il freddo (le nuvole d'aria fredda che si crea al respiro di uno dei bambini mentre dorme) e poi gli sguardi con la moglie che ride e piange, tutto troppo bello per essere perso, dissipato, distrutto. E' l'atto più straziante e commovente che possiamo chiedere al cinema oggi: filmare aree di feroce e violenta conservazione, quelle zone del vivere che Howard guarda come miraggi, come oasi nel bel mezzo del deserto. Ci vuole coraggio oggi per fare del cinema. Soprattutto se lo si fa per il latte.

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