CANNES 59 – "Paris, je t'aime" (Un certain regard)

Nella sua diversità, in Paris, je t'aime emergono comunque delle vite vissute, dei frammenti, dei giochi di luce in cui la metropoli sembra mutare e adattarsi a qualunque genere cinematografico. L'operazione ha ovviamente risultati alterni ma l'intento appare mosso da un atto d'amore sincero nei confronti di Parigi

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Evento d'apertura della sezione "Un certain regard", Paris, je t'aime è un'opera collettiva diretta da 20 cineasti che raccontano in 5 minuti la storia di un incontro amoroso dentro un quartiere di Parigi. C'è un'iniziale visione dall'alto della città, poi si entra all'interno dei diversi luoghi caratteristici della metropoli, come per esempio, Montmatre, Pigalle, la Pastiglia, Saint-Denis o il 14° Arrondissement. A dirigere questi brevissimi frammenti non sono soltanto cineasti francesi ma anche di altre nazionalità. Oltre a Denis Podalydes, l'accoppiata Frédéric Auberin-Gérard Depardieu (che riunisce l'accoppiata Gena Rowlands-Ben Gazzara forse come omaggio a Cassavetes), Olivier Assayas e Sylvain Chomet, Parigi viene 'guardata' anche da cineasti di altri paesi; nel film sono infatti presenti gli Stati Uniti (i fratelli Coen, Alexander Payne, Wes Craven, Gus Van Sant, Richard LaGravenese), il Kenya (Gurinder Chada), il Brasile (Walter Salles, Daniela Thomas), il Messico (Alfonso Cuaron), la Spagna (isabel Coixet), l'Australia (Christopher Doyle), il Giappone (Nobuhiro Suwa), il Sudafrica (Oliver Schmitz), Germania (Tom Tykwer) e il Canada (Vincenzo Natali). Si crea così una molteplicità di sguardi dove il fascino risiede proprio nella difformità dell'operazione. La metropoli può prendere aspetti horror-vampireschi (l'episodio del Quartier de la Madeleine di Natali), può entrare dentro una particolare storia d'amore che sembra finita tra un ragazzo non vedente e un'aspirante attrice, interpretata da Natalie Portman in uno dei segmenti più belli, quello ambientato a Faubourg Saint-Denis e diretto da Tom Tykwer. Parigi però viene rivissuta come spazio cinematografico ancora una volta dallo sguardo vibrante di Olivier Assayas ("Quartier des Enfats Rouges"), diventa il luogo di una devozione amorosa totale in seguito a una malattia ("Bastille" con Sergio Castelletto e Miranda Richardson). Oltre a Tykwer ed Assayas, i frammenti migliori sono quelli di Cuaron ("Parc Monceau") con Nick Nolte costretto a fare da baby-sitter, di Gus Van Sant ambientato in una tipografia del Marais, quello soprannaturale di Nobuhiro Suwa in cui una madre segue le voci del figlio appena defunto e soprattutto quello dei Coen. Qui, nella metropolitana  delle Tuileries, c'è il turista Steve Buscemi che sta leggendo delle guide sulla città. Dall'altra parte, una coppia dove l'uomo è piuttosto aggressivo e a un certo punto inizia a inveire contro Buscemi perché il suo sguardo si è incrociato con quello della sua ragazza. A questo punto verrà sopraffatto dagli eventi. Un'esempio di autentica cattiveria, uno sguardo parallelo tra come le guide turistiche dipingono Parigi come "ville de l'amour" e il contrasto con l'atteggiamento di alcuni suoi cittadini.

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Alla fine, nella sua diversità, in Paris, je t'aime emergono comunque delle vite vissute, dei frammenti, dei giochi di luce in cui la metropoli sembra mutare e adattarsi a qualunque genere cinematografico. L'operazione ha ovviamente risultati alterni ma l'intento appare mosso da un atto d'amore sincero nei confronti di Parigi  

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