CANNES 59 – "The Wind that Shakes the Barley", di Ken Loach (Concorso)

Ken Loach ritorna alla storia del suo ''Regno'' e racconta l'Irlanda degli anni '20 che lotta per l'indipendenza e contro l'esercito inglese. Il vento che solleva pero' non e' una tempesta ma basta per mummificare lo sguardo, ormai immobile per non disperdere quel poco di calore rimasto ancora nel suo cine(ma)tv.

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Ambientato nell'Irlanda del 1920 in cui un gruppo di volontari, che rivendicano l'indipendenza dalla Gran Bretagna, si rivoltano contro l'esercito di mercenari inglese ''Black and Tans''. Sulla scia di Michael Connolly, marxista-socialista che nel 1916 avvio' il movimento indipendentista, il protagonista e' un giovane laureato in medicina che sta per prendere il treno, ma assistendo all'ennesimo linciaggio da parte dei militari della Regina, decide di non salire su quel treno e di restare e combattere al fianco dei suoi amici e compagni. L'ultimo film di Ken Loach e' sulla guerriglia scatenata contro i deputati del Sinn Fein che si rifiutano di sedere a Londra, insieme agli inglesi, per firmare e accettare il trattato ''Dail Eireann''. La storia racconta almeno due anni di feroci combattimenti in cui l'Ira riesce, attraverso attentati e imboscate, a infliggere pesanti perdite sul fronte nemico. Loach ritorna a raccontare la storia del suo Paese, riportando alla luce quegli anni rimossi dai britannici in cui l'Irlanda diventa uno stato a meta' e ancora oggi quel senso di incompiutezza sembra dominare parte del popolo irlandese. Andando nella stessa direzione di Terra e Liberta', il film e' lontano dagli eroi leggendari, lontano dal budget miliardario e soprattutto lontano dal voler lanciare un messaggio anti-britannico. L'impegno sociale come nucleo cinematografico sembra pero' negli anni aver mummificato il cinema di Loach che ormai sembra non avere piu' quella tensione esplorativa, ma si limita a raccontare, ad incasellare e scorporare. Nel primo fotogramma la storia sembra gia' avere l'incipit definitivo, universale, enciclopedico, tagliato dal passato prossimo e sospeso nel presente. In piu' la storia sembra fagocitare anche quelle flebili ''speranze'' melodrammatiche gia' ingombranti in alcuni titoli trascorsi (vedi la Canzone di Carla, Un bacio appassionato). L'artificiosita' della messa in scena e' invasa dai soliti fantasmi retorici di enfasi pedagogica e a poco serve il finale apparentemente asciutto, duro, tendenzialmente contrario al ridondante. Loach pare avviato a frammentare il suo sguardo sempre piu', anche quando si muove nel suo territorio preferito, quello della denuncia e della ricostruzione dei fatti. Troppo amato, troppo apprezzato, assai poco discusso, il regista inglese stancamente fa muovere la macchina da presa, lascia che gli stacchi repentini e continui nascondano i vuoti di memoria, i nodi di quel cinema che fu, mai travolgente ma quanto meno imperfettamente forgiato di ferro e pietre. La sensazione che ti ''sconvolge'' e' quella disarmante didattica a lezioni e capitoli intervallati da un asettico e confortante cine(ma)tv.

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