CANNES 59 – "Il regista di matrimoni", di Marco Bellocchio (Un certain regard)

Viaggio nell'inconscio del processo creativo che appare troppo concettuale ed ermetico e dove l'estasi, il flusso inarrestabile di "L'ora di religione" e "Buongiorno, notte" è intermittente, presenti soprattutto nella scena iniziale e nel finale. Un travolgente Castellitto appare quasi come la reincarnazione di Mastroianni di "8 ½"

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In Italia sono i morti che comandano". Da queste parole si materializza un cinema fatto tutto di spettri, di proiezioni oniriche, dove i pensieri, le immagini del pensiero prendono forma. Del resto Il regista di matrimoni è un caratterizzato dalle luci oscure della fotografia di Mari. Quella stessa oscurità che diventa il luogo dove rintracciare quei bagliori della mente che hanno frequentemente caratterizzato il cinema di Bellocchio. Oppure quella stessa oscurità da cui prende forma la luce, l'animazione del cinema. Non è forse un caso che al centro della vicenda di Il regista di matrimoni ci sia proprio un regista, Franco Elica, reduce dal matrimonio della figlia. Il cineasta si sta apprestando a dirigere una versione di I promessi sposi. Va così in Sicilia alla ricerca dell'ispirazione. Ed è lì che ritrova un regista che si spaccia per morto per raggiungere quella fama che non ha mai avuto. Conosce poi il principe Gravina di Palagonia, un nobile spiantato che gli chiede di dirigere le riprese del matrimonio della figlia Bona. Elica però si innamora della ragazza.

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Il regista di matrimoni può leggersi come un viaggio inconscio nel processo della creazione ed Elica può apparire quasi come la reincarnazione del cineasta Guido di 8 ½ di Fellini o del pittore Ernesto Picciafuoco (sempre interpretato da Castellitto) di L'ora di religione. Un cinema che scende in profondità quello di Bellocchio, che appare rigoroso come Il principe di Homburg ma anche ermetico come certe opere più oscure del cineasta come La visione del Sabba o Il sogno della farfalla. Il pensiero si materializza in Il regista di matrimoni ma sembra che comunque le sue forme che si trasformano in immagini hanno una fisicità che appare troppo evidente. Probabilmente l'impermeabilità del film di Bellocchio potrebbe essere causata anche dall'incapacità, dall'inadeguatezza di uno sguardo stavolta incapace di arrivare dentro il cuore della pellicola. Si ha l'impressione che però, rispetto soprattutto a Buongiorno, notte e soprattutto L'ora di religione, sia soltanto parzialmente presente quel flusso trascinante che cattura e porta via con sé dentro territori non solo cinematografiche ma verso esperienze di grande intensità, come il cinema di Bellocchio è solitamente abituato a fare. Ci sono le scene dentro lo studio cinematografico del regista, oppure il momento in cui Elica è condotto all'interno della villa da due cani con cui parla in tedesco in cui la visione non appare totalmente depurata, così come le soggettive del cineasta, gli sguardi verso altre realtà non avvolgono ma lasciano le tracce evidenti del loro percorso teorico.


Eppure Il regista di matrimoni è un film anche capace di 'abbandonarsi' come nell' emozionante scena iniziale in cui c'è una forza trascinante nella scena del matrimonio della figlia di Elica con i partecipanti che ritmano l'Osanna o nell'emozionante scena finale del regista e di Bona in treno, frammento in cui il film di Bellocchio appare veramente libero. Inoltre il cineasta piacentino può ancora contare su un travolgente Sergio Castellitto, su un malinconico Sami Frey e su una misteriosa e affascinante Donatella Finocchiaro. Stavolta però in Il regista di matrimoni il tormento (il rapporto fede/ateismo) prende quasi una dimensione troppo concettuale. L'estasi c'è ma è intermittente. Troppo intermittente rispetto a quanto ha abituato il cinema di Bellocchio.

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