Venezia 63 – Penso che il cinema sia soprattutto il volto e la faccia di Lee Kang-Sheng è la mia vera sperimentazione. – Incontro con Tsai Ming-Liang

Il regista di I don't Want Sleep Alone torna in Malesia per girare il suo nuovo film dichiarando esplicitamente il suo intenso rapporto artistico con il suo attore feticcio Lee Kang-Sheng qui in un doppio ruolo anche per esprimere la disperazione dell'immigrazione.

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Un nuovo film di Tsai Ming-Liang, in concorso qui a Venezia, I Don't Want to Sleep Alone, ha esordito ieri sugli schermi della mostra. Un racconto di immigrazione e di rapporti d'amore, tutti temi che si ripetono nella poetica del regista taiwanese nato in Malesia, e sulla variazione dei quali ha costruito anche quest'ultima opera. I Don't Want to Sleep Alone è un film che gioca molte delle sue carte sulla consueta assenza di dialogo, ma, nel contempo, su una musicalità molto intensa e che pervade complessivamente le due ore di film.

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La musica del suo film è di straordinaria intensità, ci piacerebbe sapere come è stata scelta e per quali ragioni e se Smile è un omaggio a Charlie Chaplin.


 


Vorrei che le canzoni che mi piacciono vengano sentite dal pubblico dei miei film. Queste musiche sono quelle che ascoltavo da bambino, fanno parte della mia infanzia. Sono nato e cresciuto in Malesia e ascoltavo molta musica. Si sentivano canzoni indiane, salesiane, brani di opere liriche e trovo che in quelle musiche ci sia anche una parte della mia vita. In particolare mi piace ricordare che la canzone che si ascolta mentre uno dei personaggi viene cosparso di borotalco è la mia preferita. Quanto all'omaggio a Chaplin credo che anche lui abbia sempre interpretato la parte di un vagabondo.


 


In questo film c'è una faccia nuova, quella di Norman Atun, come ha fatto a dirigerlo?


 


Penso che Norman, dopo Lee Kang-Sheng, sia stato un attore molto importante per la mia attività artistica. La recitazione di Norman mi ha aperto la mente in fatto di recitazione. Quando l'ho scelto, devo dire, che l'ho fatto esclusivamente per il suo aspetto esteriore e poi, durante la lavorazione, mi ha sempre stupito la sua capacità di non percepire la presenza della macchina da presa. Devo confessare di essere molto attratto da queste sue capacità. Quanto al lavoro sul set voglio precisare che non l'ho mai obbligato a fare nulla di particolare, anzi l'ho buttato nella scena lasciandolo libero di agire. Questa decisione ha dato i suoi frutti. Riguardando il film ho visto dei momenti davvero commoventi che non sarebbe possibile fare meglio, né, tanto meno, eliminare o modificare.


 


È vero che lei aveva previsto un erotismo più spinto per il suo film  e che poi, a causa della religione di Norman Atun ha dovuto cambiare, in corso d'opera la sceneggiatura? Cosa avremmo dovuto vedere che non abbiamo visto?


 


Nei miei film ci sono sempre molte scene di sesso. Per questo ho sentito l'esigenza di fermarmi. In una prima stesura della sceneggiatura c'erano delle scene di sesso, ma poi mi sono chiesto se fosse opportuno offrire al pubblico un erotismo esplicito o fosse meglio evitare tutto ciò offrendo invece una altrettanta forte sensualità. Cosicché ho scelto questa seconda strada e credo che ci siano alcune sequenza ricche di una forte carica sensuale. Voglio fare un esempio. C'è la scena del lavaggio dopo il quale il personaggio viene coperto dai panni, secondo l'uso locale, che, credo, sia al tempo stesso commovente e sensuale. Poi ci sono altri elementi che forse hanno una caratterizzazione troppo culturalmente caratterizzata. Ad esempio il bacio della mano è un gesto di perdono e non potevo non inserirlo nel film la dove compare.


Era tutto questo che volevo che emergesse, sotto questo aspetto, dal film.

Quanto invece Lee Kang-Sheng gli affidato anche questa volta il ruolo di protagonista, addirittura assegnandogli due ruoli…


 


Per quanto riguarda il mio rapporto artistico con Lee Kang-Sheng credo che ciò appartenga al mio stesso cinema, in altre parole, è come me che continuo ad insistere con il cinema. Penso che il cinema sia soprattutto il volto e la faccia di Lee Kang-Sheng è la mia vera sperimentazione.


 


Dopo Vive l'amour, che è del 1994, lei ritorna qui Venezia con questo film girato in Malesia lo possiamo considerare un ritorno a casa?


 


Mi fa molto piacere essere tornato qui a Venezia con questo mio film nel concorso e non posso non ringraziare questo festival grazie al quale, dopo il Leone d'oro vinto qui nel 1994 ho potuto continuare a fare questo mestiere e soprattutto a mantenere il mio stile. Certo la Malesia è importante nel film. È la prima volta che ci torno e non posso che apprezzare il lavoro svolto per il mio film dalle maestranze locali con le quali ho lavorato. Per il resto sono molto felice della proficua collaborazione, per la realizzazione del film, tra Taiwan e la Malesia.


Il vero tema del mio film è quello dell'immigrazione e in questo film ho riportato molte delle mie esperienze personali che vissuto da immigrato malese in Taiwan e soprattutto ho voluto riportare quel senso di solitudine e di disperazione che ogni immigrato si porta dentro.


 


Nel '94 con due battute ha vinto il premio più ambito e, quindi, questa volta?


 


(Ride divertito) La cosa più divertente è che ho girato nove film e ognuno di questi è stato ospite di un festival importante. In fondo credo che il pubblico ormai conosca le caratteristiche dei miei film e conosce perfino gli attori con i quali lavoro ed è abituato all'assenza di dialogo, di azione e all'assenza di una vera colonna sonora. Sono quelle le mie caratteristiche di cineasta anche se, credo che il tempo, lentamente, mi abbia fatto mutare qualche atteggiamento.


 

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